pubblicato il 22.05.25
Falcone e la pista nera sul delitto Mattarella ecco le agende mai viste ·
Verranno esposte per la prima volta in una sala del Museo del Presente Negli appunti del 1989 la tesi dell’accordo tra mafia e neofascisti
Le pagine del 1989 sono le più dense di appuntamenti e di cose da fare. Ogni tanto, Giovanni Falcone scriveva con la stilografica nera, altre volte con quella blu. «Ma sempre in modo ordinato», spiega il nipote del giudice, Vincenzo Di Fresco, il figlio di Maria, mentre sfoglia l’agenda con la copertina di pelle marrone e la mostra per la prima volta in una sala del bellissimo Museo del Presente intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borselli no. «Queste annotazioni — dice — sono la testimonianza più viva dell’incessante impegno che quegli uomi ni, dei veri eroi, misero per la ricerca della verità».
Annotazioni che raccontano di giornate frenetiche («23 aprile 1989: Scadono i termini per le traduzioni di Iron Tower». «29 aprile: Dov’è il fax da Lugano?»), ma anche giornate di interrogatori e trasferte fuori dalla Sicilia («19 aprile, Milano, vie ne Borsellino. Incontro con la Boccassini»), annotazioni che racconta no soprattutto di inchieste da sviluppare e domande a cui risponde re. E sono domande ancora attualissime: «Atti Palazzolo, omicidio Mattarella», annotava il giudice Falco ne come promemoria per lunedì 6 marzo 1989. Sono le due grandi in compiute dell’antimafia. Vito Roberto Palazzolo, il tesoriere di Riina e Provenzano che il giudice simbolo della lotta alla mafia inseguì una vi ta fra la Sicilia, la Svizzera e il Sudafrica, continua ancora oggi a gestire il suo immenso patrimonio: il Suda frica e l’Angola non hanno mai ri sposto alle richieste di rogatoria fat te alcuni anni fa dalla procura di Palermo per sequestrare l’impero del manager siciliano che riciclò i soldi della Pizza Connection. E, poi, c’è l’omicidio di Piersanti Mattarella: re sta ancora senza nome il killer che il 6 gennaio 1980 sparò al presidente della Regione che voleva riformare la Sicilia e la politica, era il fratello dell’attuale Capo dello Stato. Sfogliando l’agenda del 1989, si ha la sensazione chiarissima che Giovanni Falcone sentiva di essere arrivato a una svolta per decifrare i misteri che ancora avvolgono quel delitto eccellente: annotava spesso il cognome “Volo”.
L’allora giudice istruttore Falcone interrogò una trentina di volte Alberto Stefano Volo, il preside estremista di destra che diceva di aver appreso da Francesco Mangiameli del coinvolgimento del killer nero Giusva Fioravanti nel delitto del presidente della Regione. Volo parlava anche di una struttura segreta che assomigliava tanto a Gladio, la “Universal Legion”. E, ora, grazie a quel l’agenda del 1989 sappiamo che Falcone puntava a ufficializzare la “collaborazione di Volo”, come annotava il 21 aprile. Anche il giorno dopo Ferragosto continuava a lavorare sulle dichiarazioni fatte dal preside estremista di destra: «Far venire il dottore Fassari per Volo», scriveva il 16 agosto citando un investigatore. Mentre il 30 gennaio aveva scritto: «Telefonare commissario Antinoro», il funzionario di polizia che gestiva Volo da confidente.
Una grande corsa, per cercare la verità. «E di tanto in tanto telefona va a Sergio Mattarella — racconta Vincenzo Di Fresco mostrando gli appunti di altre pagine dell’agenda dell’89 — credo che volesse tenere aggiornati i familiari di Piersanti Mattarella sullo sviluppo delle indagini. Un gesto di grande attenzione e sensibilità, che racconta il rigore del magistrato, la sensibilità dell’uomo». Il 1989 è un anno terribile per Giovanni Falcone: prima le lettere anonime del “Corvo” che lo accusa no di aver fatto ritornare in armi il pentito Totuccio Contorno; poi il 21 giugno, la polizia trova una borsa piena di esplosivo davanti la sua villa, che si affaccia sul mare dell’Addaura. «Opera di menti raffinatissime», disse in un’intervista all’Unità. Ricorda Vincenzo Di Fresco: «Quella sera, io e mamma andammo a trovarlo. Era sconvolto, ripeteva a Francesca che doveva andare via, le ripeteva: «Non lo capisci che sono un cadavere ambulante?» Ma nella sua agenda continuava a prendere ap punti. Il 23 giugno era a Roma, segnava: «Concutelli». Probabilmente un interrogatorio dell’estremista di destra che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta visse a Palermo. Per certo, il 9 settembre andò a interrogarlo: «Ore 10, Concutelli Rebibbia». L’11 marzo aveva scritto: «Prendere documentazione per Concutelli». L’ipotesi che seguiva era precisa: Cosa no stra avrebbe aiutato i “neri” a far evadere Concutelli dall’Ucciardone, in cambio loro avrebbero ucciso Mattarella. Un’ipotesi che però, poi, si infranse con l’assoluzione di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Ma Falcone non aveva lasciato nulla di intentato, provando a entrare anche nei segreti più inconfessabili di Palermo: «Indagine sulla massoneria per Insalaco», annotava in un’altra agenda del 1989, il 6 marzo, do po aver scritto «Atti Palazzolo e omicidio Mattarella». Insalaco era l’ex sindaco ucciso un anno prima. Falcone continuava a segnare tracce e piste. Si preparava anche a passare al computer: «Esercitazione per Toshiba», annotava. In quel computer iniziò a scrivere il suo diario, che qualcuno poi trafugò dopo la stra ge. Sono rimaste le agende a raccontare di un siciliano coraggioso. In una è rimasta una fotografia di Fal cone che sorride fra due amiche. «Era un uomo pieno di vita, dal sor riso travolgente. Quando ci riuniva mo a casa della nonna — conclude il nipote — si sedeva sempre nel tavo lo di noi bambini. E non smetteva di farci ridere».
https://palermo.repubblica.it/cronaca/2025/05/22/news/strage_capaci_falcone_omicidio_mattarella-424583093
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