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Le idee forza di una corrente storica
Qui vogliamo, se pure schematicamente, richiamare alcune idee-forza che riteniamo fondamentali per una strategia anticapitalista.
Un progetto per la trasformazione della società
La definizione di un progetto anticapitalista adeguato ai nuovi tempi e alle nuove caratteristiche della fase è un compito straordinariamente complesso. Non può discendere solo dal patrimonio teorico del movimento operaio e dalle passate esperienze storiche (anche se queste ne sono il punto di partenza fondamentale) ma richiede uno sforzo eccezionale di comprensione della fase storica del capitalismo, deve integrare l'apporto essenziale del pensiero e dell'esperienza del movimento femminista e i contributi politici e culturali del movimento ambientalista.
Dati i rapporti di forza che si sono determinati su scala mondiale, la trasformazione della realtà è un compito difficile, che va perseguito con grande determinazione di fronte alle contraddizioni drammatiche che questo sistema economico e sociale produce nel mondo. Il modo di funzionamento del capitalismo attuale mostra due limiti di fondo: come sistema economico è incapace di utilizzare lo sviluppo delle forze produttive per soddisfare i bisogni della maggioranza della popolazione; pur dominando il pianeta praticamente senza più contrasti dopo il crollo delle società burocratiche dei paesi dell'Est, è del tutto incapace di definire un ordine mondiale stabile e tanto meno di garantire il presente e l'avvenire dell'ambiente in cui viviamo.
Le politiche neoliberiste introdotte da Reagan e Thatcher e in seguito estese a tutto il mondo hanno permesso ai capitalisti di ristabilire forti margini di profitto, ma non di rilanciare una nuova fase economica espansiva del sistema, oggi posto di fronte alla minaccia di una crisi recessiva le cui dimensioni non sono ancora del tutto identificabili. Quelle politiche hanno determinato polarizzazioni sociali, hanno peggiorato le condizioni di vita dei popoli del terzo mondo che già soffrivano di grandi povertà, hanno rimesso in discussione conquiste storiche del movimento dei lavoratori nei paesi capitalistici avanzati e prodotto una disoccupazione di massa che mina alla radice le società e che, senza una alternativa di classe, rischia di precipitarle verso esiti drammatici.
L'impiego senza freni in funzione del profitto delle risorse naturali mette a repentaglio le condizioni di vita sulla Terra. Il modello capitalistico di consumo, oltre a essere ingiusto e intollerabile, non può venire generalizzato senza causare l'esaurimento delle risorse e la moltiplicazione della produzione di rifiuti. Le conseguenze dei metodi di agricoltura intensiva, il supersfruttamento degli oceani, l'uso delle fonti di energia non rinnovabili, le produzioni contaminanti e le scorie nucleari determinano una serie di limiti fisici all'estensione di questo modello, nello spazio e nel tempo. Occorre pertanto prospettare un progetto di superamento di questo sistema. Non ci si può limitare a qualche ritocco, a ipotesi riformiste di basso profilo che finiscono per subordinarsi alle scelte delle classi dominanti.
Un progetto anticapitalista, oggi, ha una valenza di lotta politica su scala nazionale, ma contemporaneamente, per le profonde connessioni del capitalismo su scala mondiale, impone compiti e necessita di strategie internazionaliste a partire almeno dallo scenario europeo. La costruzione di una strategia rivoluzionaria parte anche da rivendicazioni democratiche e di riforma, dalla paziente costruzione dei movimenti di massa a partire dalle rivendicazioni quotidiane. Sono battaglie che vanno costantemente spiegate, rapportate alla necessità di creare i rapporti di forza, indispensabili non solo per strappare qualche miglioramento, ma per scalzare la borghesia dal potere politico ed economico, per costruire una società in cui tali poteri siano nelle mani delle classi lavoratrici e le politiche economiche siano rivolte al soddisfacimento dei bisogni delle masse.
Peraltro, la storia insegna che le classi dominanti sono state spinte a politiche riformiste (con molte contraddizioni e incerti risultati) solo di fronte a catastrofi economiche gigantesche come la recessione mondiale e, soprattutto, quando si sono trovate confrontate a possenti movimenti di massa rivendicativi dalle forti caratteristiche anticapitaliste, o a vere e proprie minacce rivoluzionarie da parte delle classi subalterne. Per riferirci solo al nostro paese, i tre momenti "riformistici" fondamentali (cioè di maggiori conquiste dei lavoratori) corrispondono a tre crisi sociali di grandissima ampiezza nelle quali, se pure in forme diverse e con diversa maturità politica, fu posto il problema di una società alternativa: il biennio rosso del 1919-20, la crisi successiva alla seconda guerra mondiale chiusasi nel '48 con l'attentato a Togliatti, il lungo decennio cominciato nel '68-69, di cui la bruciante sconfitta dell'autunno '80 alla Fiat può essere considerato il termine. Ma, come dimostrano queste tre esperienze storiche, se il movimento di massa non riesce a raggiungere la piena maturità sociale e politica, se non si affermano le condizioni soggettive e oggettive dell'alternativa, se la classe lavoratrice non riesce a porre la battaglia per il potere, anche i più grandi movimenti rifluiscono, vengono sconfitti o recuperati e le precedenti conquiste erose e smantellate.
Una strategia di transizione
Quella che noi proponiamo è allora una "strategia transitoria". Con questo termine intendiamo un percorso di costruzione del blocco sociale anticapitalista che parte dalle rivendicazioni immediate, costruisce organizzazione, conflitto sociale, collega le lotte quotidiane a rivendicazioni corrispondenti ai bisogni delle masse, che il capitalismo non può, né vuole soddisfare. Questo percorso è necessario per far maturare nell'esperienza delle masse una coscienza di classe anticapitalista, la determinazione ad andare oltre, a spezzare i meccanismi di fondo del sistema costruendo così, attraverso la mobilitazione, i rapporti di forza capaci di rendere credibile e possibile la battaglia anticapitalista.
Oggi, il punto di partenza è, in tutti paesi del mondo, l'idea che è possibile una politica economica diversa dal liberismo, che questa è, anzi, indispensabile per rispondere ai bisogni sociali delle classi lavoratrici e per preservare l'ambiente naturale.
La battaglia per il lavoro
Nei grandi paesi capitalistici, l'asse centrale di questo percorso è la battaglia per il lavoro. Mobilitarsi per questo obiettivo porta a rimettere in discussione i meccanismi del sistema e spinge a una critica della società capitalistica nel suo insieme. La "lotta per il lavoro" trascina con sé la richiesta implicita di una diversa ripartizione del reddito nazionale. Inoltre, ritmi e carichi di fatica sempre più intensi e insopportabili richiedono una ripresa della lotta che potrebbe riproporre il controllo operaio sull'organizzazione del lavoro. La destrutturazione e la frammentazione del mercato del lavoro pongono, poi, il problema di nuove forme unitarie e impongono una ridiscussione del potere autoritario delle aziende. La risposta ai grandi bisogni insoddisfatti pone la necessità di un nuovo intervento del settore pubblico, mentre le vecchie esperienze clientelari delle imprese pubbliche spingono a cercare nuove esperienze di partecipazione dal basso, di controllo degli utenti e dei lavoratori.
La scarsa credibilità di una società alternativa di una società socialista, per chiamarla più propriamente con il vecchio nome è frutto di due elementi congiunti: da una parte, le sconfitte subite e i rapporti di forza sfavorevoli al mondo del lavoro che rendono, per ora, quasi utopistica agli occhi delle masse la speranza di una società in cui l'ingiustizia sociale sia sradicata e tutti possano godere della massima democrazia politica e sociale; dall'altra, l'esperienza negativa svoltasi nelle società dell'Est, utilizzata dalla borghesia per demoralizzare e convincere che qualsiasi società diversa dall'attuale può solo risultare peggiore di quella capitalista.
La lezione dei paesi dell'Est
Il crollo delle società burocratiche ha costituito la conclusione prevedibile di un lungo processo degenerativo, di una transizione bloccata tra capitalismo e socialismo; queste società hanno presentato, al termine, un bilancio così disastroso e le stesse conquiste sociali iniziali sono risultate tanto erose e distorte da apparire alla massa dei lavoratori di questi stessi paesi assai poco degne di essere difese. Anziché l'idea di una riforma radicale della società in senso autenticamente socialista e democratico, si è presentata la via della restaurazione capitalistica, apparsa come la più facile e vantaggiosa. Questa dinamica ha comportato gravi conseguenze per le masse popolari di quei paesi e per l'evoluzione della lotta di classe su scala mondiale.
Ma questo stato di demoralizzazione, può essere superato: la storia non è finita. In molte parti del mondo assistiamo a nuove mobilitazioni, a reazioni delle classi lavoratrici che non accettano i sacrifici intollerabili che le classi dominanti chiedono. Nuovi movimenti rivendicativi di massa sono presenti in Europa: l'idea di un'Europa sociale che risponda ai bisogni dei popoli anziché ai grafici dei profitti degli imprenditori e dei banchieri cresce di giorno in giorno, e si affaccia in settori sempre più ampi l'idea che non solo è necessaria, ma è possibile una nuova politica economica. Le lotte concrete possono creare le condizioni non solo per chiedere questo nuovo corso, ma per imporlo.
La contraddizione lacerante tra le aspirazioni a un lavoro, a un salario decente, a una vita dignitosa e la realtà capitalista che nega questi diritti fondamentali, in un quadro in cui il movimento operaio e popolare dispone ancora di una certa forza e organizzazione, pone all'ordine del giorno una nuova attualizzazione del progetto rivoluzionario. L'accumulo progressivo di esperienze di massa, il conseguimento di vittorie parziali e la radicalizzazione delle nuove generazioni sono le basi su cui lavorare al nuovo progetto.
La democrazia socialista
Perché la classe operaia e l'insieme delle classi subalterne possano trasformare la realtà capitalistica è necessario un alto grado di organizzazione e di coscienza politica. A differenza delle rivoluzioni borghesi nelle quali le masse, che pure hanno un ruolo centrale nella mobilitazione, sono guidate da una élite sociale che già dispone di un rilevante potere economico il processo rivoluzionario del proletariato ha come protagonista un soggetto che non dispone di potere e che solo organizzando un ampio blocco sociale può uscire vittorioso dallo scontro di classe. Le rivoluzioni proletarie presuppongono quindi il massimo di partecipazione cosciente da parte delle masse, e questa richiede organizzazione e democrazia.
Il processo per costruire questo blocco sociale, naturalmente, è complesso. Il punto di partenza è costituito dalle lotte concrete attraverso le quali, nello sforzo per il raggiungimento di specifici obiettivi, settori di massa acquisiscono forza, capacità organizzativa e maturità politica. Per produrre una maturazione complessiva di coloro che sono coinvolti nelle lotte, le forme democratiche della mobilitazione sono di fondamentale importanza: da qui la necessità degli strumenti di controllo dei dirigenti dal basso, dell'organizzazione democratica delle assemblee, della costituzione di comitati di lotta e di sciopero.
Democrazia e partecipazione non sono un lusso, né quando si tratta di costruire una lotta locale, né per far crescere uno sciopero nazionale di categoria, né se occorre organizzare un movimento di resistenza per un intero paese. Tanto meno lo sono quando si tratta di battersi per la conquista del potere o per la trasformazione rivoluzionaria della società. Né se ne può prescindere nella fase in cui occorre gestire una società socialista. In tutte le grandi lotte rivoluzionarie di massa del Novecento, la lotta di classe ha riproposto la necessità della formazione di Comitati, di Consigli di fabbrica, di Soviet, articolazioni diverse nelle quali tutti i lavoratori potevano partecipare alle decisioni.
Il nostro contributo al pensiero marxista...
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