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Il nostro contributo al pensiero marxista
L'analisi della natura dell'Unione sovietica
Il contributo più prezioso e insostituibile di Trotskij è l'analisi delle contraddizioni dell'Urss, del ruolo della burocrazia. Non "demonizzante", o "speculare a Stalin" come dicono alcuni ignoranti in cattedra, ma un'analisi ricca e dialettica. Anche quando Stalin gli aveva assassinato i figli, i migliori amici e collaboratori, e lo stava braccando in ogni parte del mondo, Trotskij non ha mai ceduto a una visione criminalizzante; casomai ha analizzato la politica di Stalin come suicida, perché non si rendeva conto che apriva le porte a Hitler. Nonostante questo, anche dopo crimini come il patto Ribbentrop-Molotov con la brutale spartizione della Polonia, le annessioni del Baltico, la deportazione in Siberia e lo sterminio di centinaia di migliaia di polacchi, i marxisti rivoluzionari ribadirono sempre che il movimento comunista e la Quarta Internazionale dovevano continuare a difendere l'Urss, perché era oggettivamente antagonista a Hitler anche se Stalin brindava alla sua salute e gli consegnava 2000 comunisti tedeschi. Questa capacità di distinguere la natura di fondo di una rivoluzione dalle sue forme apparenti, a volte inquietanti, ha permesso ai marxisti rivoluzionari di essere tra i primi a riconoscere, e quindi a difendere, una rivoluzione (quella cinese, quella cubana, quella algerina) pur constatandone i limiti e le debolezze.
La concezione della burocrazia
Ma anche su altre questioni il contributo della nostra corrente (di Trotskij in particolare) è stato prezioso. Ha difeso il patrimonio essenziale del marxismo in anni in cui la teoria era ridotta a semplice abbellimento a posteriori delle scelte fatte per ragioni empiriche, e non sempre confessabili.
Per esempio, il "socialismo in un paese solo" era assolutamente inconcepibile per Marx, Lenin o qualunque teorico marxista; il concetto fu difeso da Stalin facendo confusione tra la presa del potere (ovviamente possibile) e la costruzione del socialismo. Per calunniare chi si opponeva si diceva che "non voleva il socialismo" , mentre il problema era un altro: se era possibile costruire il socialismo in un paese isolato, circondato da paesi capitalisti, con una grande massa contadina arretrata e abituata all'ubbidienza cieca (salvo esplodere a volte in rivolte disperate). L'esperienza ha confermato che quel che si è costruito non era socialismo, non foss'altro per le enormi sperequazioni sociali tra i privilegi della burocrazia e le condizioni delle masse, private non solo di molti beni essenziali, ma anche di un minimo di informazioni sulle scelte, per non parlare della possibilità di intervenire su di esse. Per questo l'Urss e il suo sistema sono crollati miseramente e così facilmente.
Fascismo, Fronte unico proletario e Fronti popolari
Nelle sue opere e nella sua azione politica Trotskij ha difeso e sviluppato un'analisi marxista quando il movimento comunista procedeva a sbalzi e zig-zag, passando da un'idea all'altra con la massima disinvoltura. Negli anni 1929-1934 l'Internazionale comunista abbandona le sue precedenti analisi del fascismo, e lo considera uguale a qualsiasi regime borghese (per cui tutti vengono definiti "fascisti", e diventa perfino possibile allearsi con i nazisti contro i socialdemocratici "socialfascisti" come avvenne in Germania nel 1932, pochi mesi prima della vittoria di Hitler). Trotskij viene deriso come "allarmista" anche e soprattutto da Togliatti perché tra il 1929 e il 1932 denuncia il pericolo fascista in Germania.
Subito dopo, la Terza Internazionale stalinizzata passa all'eccesso opposto, e per fronteggiare Hitler invece del Fronte unico proletario rifiutato fino a poco prima, si propone un Fronte popolare in cui ci sono, in Francia e in Spagna, importanti esponenti della borghesia. Il programma è quindi, di fatto, il loro, con conseguenze tragiche sulla questione coloniale (le colonie non si toccano e si affidano anzi a generali conservatori che si riveleranno filofascisti).
Il Fronte popolare non è l'allargamento del Fronte unico di classe, ma la sua negazione. I risultati sono stati catastrofici sia in Spagna sia in Francia, ma nessuna riflessione è stata mai fatta. I Fronti popolari sono evocati nell'immaginario collettivo del popolo comunista come un mito eroico e basta. Si ripete "No pasaràn!" e non ci si domanda come e perché i fascisti passarono.
Negli anni dei Fronti popolari, inoltre, i partiti comunisti non parlavano più dell'imperialismo francese o di quello britannico, che Stalin voleva avere come alleati dimostrando loro che solo lui era in grado di fermare i processi rivoluzionari in Europa. C'era solo l'imperialismo tedesco. Ma nel 1939, cambiate le alleanze, l'Urss, e dietro di lei tutti i partiti comunisti, denunciarono l'aggressività dell'imperialismo franco-britannico ed elogiarono le proposte di pace di Hitler. Una vergogna indelebile. Anche per essersi opposti a quella politica sciagurata, che ha portato i partiti comunisti a praticare la collaborazione di classe non meno dei socialdemocratici da cui si erano divisi vent'anni prima, i marxisti rivoluzionari sono stati odiati e calunniati implacabilmente, con la forza di un apparato mondiale di propaganda paragonabile solo a quello del Vaticano.
La battaglia per ricostruire un'internazionale
Trotskij ha scritto in quegli anni che quel che aveva fatto in passato poteva essere fatto da altri, e che il suo ruolo alla testa dello Stato sovietico e dell'Armata Rossa non è stato il suo contributo fondamentale al movimento operaio. Egli pensava al contrario che quel che di più importante ha fatto nella sua vita è stata la difesa del marxismo mentre veniva prostituito agli interessi contingenti di una burocrazia ottusa e cinica.
L'orientameno a costruire una nuova internazionale, la Quarta, emerge soprattutto quando occorre constatare, nel 1933, che la Terza Internazionale, ormai piegata ai voleri di Stalin, rifiuta perfino di prendere atto della tragedia rappresentata dalla vittoria di Hitler (si continua a dire che la situazione è ottima e eccellente, e che la rivoluzione in Germania è imminente). La proposta non è quella di un'internazionale dei "trotskisti", ma quella di tutti quelli che vogliono ancora combattere il capitalismo e si oppongono allo stalinismo. I primi tentativi sono fatti con raggruppamenti comunisti e socialisti di sinistra di varia provenienza. Se i tentativi non vanno in porto, non è mai per ragioni ideologiche settarie, ma la rottura avviene quando gli interlocutori rinunciano a principi fondamentali, per esempio quando il Poum spagnolo collabora con forze borghesi nel governo di Fronte popolare in Catalogna (salvo essere ugualmente accusato di "trotskismo", calunniato e perseguitato).
Molti hanno deriso questa difficile battaglia, magari ironizzando sul modesto numero di coloro che, dopo cinque anni di tentativi, parteciparono al congresso di fondazione della Quarta Internazionale. Erano pochi, ma avevano ragione loro e non Stalin che aveva subordinato il movimento operaio agli imperialisti francesi e britannici, che in quello stesso settembre 1938 stavano dando via libera a Hitler in Cecoslovacchia con gli accordi di Monaco; loro e non Stalin, che poco tempo dopo si sarebbe illuso di evitare la guerra accordandosi con Hitler per la spartizione dell'Europa orientale.
La Quarta Internazionale è stata piccola fino al 1968, quando ha saputo conquistare settori importanti della nuova radicalizzazione operaia e studentesca in Europa, in America latina ecc. Ma il problema è un altro: la Quarta Internazionale è ancor oggi più piccola dei partiti comunisti che sono sopravvissuti al cataclisma, e dei grandi partiti socialdemocratici. Come spiegare che il compito di costruire un'organizzazione internazionale del proletariato -che era preoccupazione fondamentale di Marx e Lenin in un periodo in cui la "globalizzazione" o "mondializzazione" del capitale c'era ma non come oggi- è stato abbandonato da tutti? L'internazionale socialista è solo un club di cinici servitori del capitale nei rispettivi paesi, o al massimo un tramite per la penetrazione dell'imperialismo tedesco in Africa e in America latina. Stalin aveva ridotto la Terza Internazionale a un volgare e rozzo strumento di trasmissione degli interessi della burocrazia sovietica nel mondo, poi l'ha sciolta nel 1943 per tranquillizzare gli imperialisti statunitensi e britannici, suoi nuovi alleati. Perché i partiti comunisti non hanno fatto nulla per ricostituirla in questi decenni, mentre era evidente che gli organi di centralizzazione politica, militare ed economica dell'imperialismo si rafforzavano in un mondo sempre più unificato?
La Quarta Internazionale non pretende di essere quel che sarebbe necessario nel mondo di oggi, ma è l'unico nucleo che ha mantenuto vivo non solo il pensiero marxista classico, ma anche un funzionamento internazionale che impedisce o riduce il pericolo degli adattamenti alle pressioni locali.
Che cos'è davvero il centralismo democratico?
Su Stalin, tranne pochi "nostalgici", potrebbero essere oggi d'accordo quasi tutti nel nostro partito. Più difficile fare i conti con quello che l'epoca staliniana ha lasciato nell'eredità degli stessi partiti comunisti più "antistaliniani". Prima di tutto nella concezione del partito, o "forma-partito" come è di moda dire. Per esempio ogni volta che si nomina il "centralismo democratico", tutti inorridiscono. Eppure sarebbe bello se nel Prc vigessero le norme in vigore nel partito bolscevico. Non solo prima del 1917, ma anche durante tutti gli anni terribili della guerra civile, quando il potere sovietico era appeso a un filo, nel partito bolscevico c'era non solo il diritto di tendenza ma perfino quello di frazione. Vuol dire che nei congressi si potevano presentare documenti diversi con pari diritto, ed era possibile il raggruppamento pubblico tra un congresso e l'altro dei sostenitori di una posizione rimasta in minoranza (che solo così poteva accettare la disciplina, dato che poteva al tempo stesso lavorare per diventare maggioranza al congresso successivo), e i congressi erano ravvicinati (tra il '17 e il '23, uno all'anno).
Pari diritti voleva dire anche che se il relatore di maggioranza parlava due ore, anche chi presentava l'altra posizione doveva avere uguale tempo. Nella concezione di Lenin, inoltre, l'organo sovrano era il congresso, e tra un congresso e l'altro il comitato centrale. L'Ufficio politico doveva solo applicare la linea tra una riunione e l'altra del CC, non sostituirsi a esso, e ancor meno potere decisionale aveva la segreteria, che era un organo tecnico di esecuzione delle decisioni. Nei partiti comunisti stalinizzati, invece, si considerava sovrana la segreteria.
Trotskismo e stalinismo: chi deve vergognarsi?
La riscoperta della discriminante antitrotskista (che lascia spazio a un recupero del vecchio repertorio stalinista) è la conseguenza di un elemento che avevamo segnalato da tempo. Neppure il nostro partito, Rifondaszione Comunista, ha mai affrontato una vera discussione sulle cause del crollo dell'Urss, che pure figurava tra i suoi compiti iniziali. Ciò ha permesso la sopravvivenza di sacche di "nostalgici" che continuano a credere che il sistema sovietico fosse perfetto e sia caduto solo per il papa o per le "manovre della Cia" . Una spiegazione penosa, perché le manovre della Cia o dei servizi segreti inglesi ecc. ci sono state fin dal giorno della vittoria della Rivoluzione d'Ottobre, e di papi reazionari e anticomunisti ce ne sono stati tanti (basti pensare al filonazista Pio XII), ma tutto ciò non è mai riuscito ad avere successo, perché in Urss, soprattutto nei primi anni, c'era un consenso larghissimo. Anche nelle fasi successive, in cui la debolezza politica del regime staliniano si manifestava nell'uso sempre più massiccio di una repressione indiscriminata, c'erano ancora ragioni profonde di attaccamento a quanto rimaneva delle conquiste dell'Ottobre. Le manovre sono riuscite solo quando i dirigenti sedicenti comunisti, da Breznev a Gorbaciov a Eltsin, da Milosevic a Tudjiman, da Zivkov a Ceausescu, da Ramiz Alia a Sali Berisha, non credevano più a nulla e non venivano più creduti da nessuno, ma pontificavano in nome del "comunismo".
I nemici del comunismo hanno usato i crimini di quei personaggi per screditare il progetto grandioso di Marx e di Lenin; gli imbecilli hanno abboccato e per "difendere il comunismo" hanno difeso i crimini di quei cinici usurpatori. Anche diversi intellettuali hanno continuato a non riflettere su una delle grandi tragedie del secolo, l'involuzione, declino e crollo del movimento comunista, continuando a dare per scontato che chi si diceva comunista lo fosse.
Il movimento trotskista, che negli anni trenta era più forte di quello filosovietico in Vietnam e in molti paesi dell'America latina, non ha pagine vergognose da nascondere, ma un lungo martirologio di compagni assassinati, dai nazisti come dagli stalinisti. Lo stalinismo invece rappresenta una vergogna permanente per il movimento operaio: ha allevato tanti dirigenti diventati oggi filocapitalisti, ha cancellato ogni traccia e ogni ricordo della democrazia interna che vigeva nel partito bolscevico e nell'Internazionale comunista ai tempi di Lenin e Trotskij, ha sterminato il 90% dei dirigenti della rivoluzione d'Ottobre e perfino più comunisti tedeschi di quanti ne abbia assassinati Hitler. Solo l'ignoranza può lasciare spazio alla nostalgia dello stalinismo, che ha portato alla rovina tanti gloriosi partiti comunisti eliminandone i migliori dirigenti e sostituendoli con docili pedine della burocrazia sovietica.
Ci dispiace, anche per altre ragioni, che non sia più tra noi il compagno Lucio Libertini. Per anni, come Lelio Basso, è stato considerato poco meno che un agente della Cia solo perché aveva analizzato lucidamente il fenomeno dell'involuzione dell'Urss. Quando il Psiup confluì nel Pci, per un certo periodo fu tenuto al margine e non ammesso subito nel CC per la "colpa" di aver visto quel che altri non vedevano e non volevano vedere. Oggi Cossutta ritorna al passato e usa di nuovo lo spauracchio del "trotskismo": vuol dire proprio che il nuovo PdCI non ha altri mezzi per "farsi una base" che ripescare nel repertorio del passato evocando argomenti irrazionali ma sperimentati per decenni. Non ci sembra che così possa andare molto lontano.
Un patrimonio di esperienza rivoluzionaria
Gli scritti di Trotskij continuano a essere attualissimi, ma in Italia sono oggetto di un sostanziale boicottaggio da parte delle case editrici. Le edizioni esistenti sono ormai introvabili. Nel più famoso di questi, La rivoluzione tradita , che è del 1936, dopo aver esaltato le conquiste fatte dall'Urss nonostante la direzione burocratica, concludeva con la previsione che in caso di crollo del paese una parte della burocrazia si sarebbe messa a disposizione del nemico imperialista. Accadde già nel 1941-1945, quando Hitler trovò non pochi collaborazionisti anche tra gli alti ufficiali, ma soprattutto dopo il 1989-1991, quando quasi tutti i burocrati "comunisti" sono diventati "democratici" filocapitalisti e complici dell'imperialismo.
In tutti gli scritti di Leone Trotskij, per esempio quelli che riflettono la sua attività di dirigente dell'Internazionale Comunista tra il 1919 e il 1925, si nota una grande ricchezza analitica: fu il primo a cogliere il nuovo ruolo degli Usa sulla scena mondiale e a intuire che il capitalismo negli anni venti si stava riorganizzando. La sua analisi del fascismo rimane insuperata, ma fu dimenticata negli anni in cui i partiti comunisti stalinizzati consideravano i socialisti "nemico principale" e non esitavano ad allearsi con Hitler (cfr. in L. Rapone Trotskij e il fascismo , Laterza 1978).
Il corpus delle opere di Trotskij è facilmente reperibile in francese (Maspero, Edi, Ed. de Minuit, La breche), in inglese (Pathfinder press) e in spagnolo. Delle opere in italiano esiste una bibliografia che comprende solo gli scritti pubblicati in volume o in opuscolo (con l'esclusione degli scritti su periodici) curata da Pardo Fornaciari: "Gli scritti di Trotskij in Italia (1918-1978)" in Critica comunista , n. 4/5, settembre-dicembre 1979, numero monografico su Trotskij (ancora disponibile in un numero limitato di copie presso la nostra redazione). I titoli più importanti sono accompagnati da una breve scheda; delle raccolte sono riportati i sommari. A proposito delle edizioni trotskiane in Italia Pardo Fornaciari ha pubblicato anche "Note sulla 'fortuna editoriale' di Trotskij in Italia" nel fascicolo speciale della rivista fiorentina Il ponte (n. 11-12, 1980) curato da David Bidussa e Attilio Chitarin e interamente dedicato a "Trotskij nel movimento operaio del XX secolo" che conprende fra gli altri scritti di N. Geras, M. Löwy, H. Weber, E. Mandel, M. Dreyfus, A. Chitarin, D. Bidussa, P. Naville.
Tra gli scritti accessibili al lettore italiano segnaliamo:
Storia della rivoluzione russa , Newton Compton 1995;
La rivoluzione permanente , Oscar Mondadori 1979
La rivoluzione tradita , Oscar Mondadori 1990;
Il programma di transizione , Nuove Edizioni Internazionali 1995;
Scritti sull'Italia, Erre Emme 1990;
La loro morale e la nostra, Nuove Edizioni Internazionali 1995;
Opere scelte in 10 volumi, Prospettiva edizioni.
Con una buona dose di fortuna potrebbero essere reperiti in qualche libreria testi fondamentali che vale davvero la pena di cercare. Per esempio:
La mia vita , Oscar Mondadori 1976;
Letteratura e Rivoluzione , Einaudi 1973;
Problemi della rivoluzione cinese e altri scritti , Einaudi 1970
1905, La Nuova Italia 1971
Diario d'esilio , Il saggiatore,
e con molta fortuna o a casa di qualche vecchio compagno (in ogni caso siamo disposti a fornirne fotocopia)
La Terza internazionale dopo Lenin , Samonà e Savelli
In difesa del marxismo , Samonà e Savelli 1968.
Una piccola, ma utile raccolta è in Per conoscere Trotskij , Oscar Mondadori 1971.
L'apporto di Ernest Mandel alla critica dell'economia... |
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