CANNABIS in medicina
Una Richiesta di Riconsiderazione

La marijuana è ora confinata al Programma I sotto l'Atto di Sostanze Controllate come una droga che ha un alto potenziale di abuso, manca di un utilizzo approvato in medicina, e non è sicura per un uso sotto supervisione medica.

Nel 1972 l'Organizzazione Nazionale per la Riforma delle Leggi sulla Marijuana (National Organization for the Reform of Marijuana) fece una petizione indirizzata all'Ufficio Narcotici e Droghe Pericolose (Bureau of Narcotics and Dangerous Drugs), successivamente rinominato Amministrazione dell'Applicazione sulla Droga ( Drug Enforcement Administration), per trasferire la marijuana al Programma II così che possa essere prescritta legalmente. Mentre il procedimento continuava, altri gruppi si sono uniti, compresa l'Associazione dei Medici per la cura dell'aids (sindrome da immunodeficienza acquisita). Fu solo nel 1986 che, dopo anni di manovre legali, la DEA potè accedere alla domanda per un'udienza pubblica richiesta dalla legge. Durante l'udienza, che si prolungò per due anni, molti pazienti e medici testimoniarono e vennero raccolte migliaia di pagine di documentazione. Nel 1988 lo stesso giudice dell'amministrazione legale della DEA, Francis L.Young, dichiarò che la marijuana nella sua forma naturale soddisfa i requisiti legali dell'uso medicinale nelle terapie correntemente accettati negli Stati Uniti. Egli aggiunse che "è una tra le sostanze attive terapeuticamente più sicure note all'uomo". Il suo ordine di trasferire la pianta della marijuana al Programma II venne revocato, non da un'autorità medica qualsiasi, bensì dalla DEA stessa, la quale emise, nel marzo 1992, un finale rifiuto a tutte le richieste di riclassificazione.

Nel frattempo alcuni pazienti sono riusciti ad ottenere legalmente la marijuana a fini terapeutici. Dal 1978 la legge che permette a pazienti con particolari problemi di usare marijuana con l'approvazione di un medico, è stata messa in atto in 36 stati. Nonostante regolamentazioni federali e procedure rendano l'adempimento delle leggi difficoltoso, dieci stati hanno finalmente istituito programmi di ricerca sulla marijuana per ottenere l'approvazione dell'Amministrazione di Droghe e Alimentari (FDA) alle richieste indirizzate all'Investigational New Drug (IND). Questi programmi vennero in seguito abbandonati, principalmente perché l'onere burocratico gravò su medici e pazienti in modo intollerabile.

La domanda crescente forzò, inoltre, la FDA ad istituire un trattamento individuale IND (comunemente riferito come il Compassionate IND) ad uso dei medici i cui pazienti necessitavano di marijuana, poiché nessun altra droga poteva produrre lo stesso effetto curativo. Il procedimento di richiesta fu reso enormemente complicato così la maggioranza dei dottori non volle essere coinvolta, soprattutto da quando molti credettero che prescrivere canapa fosse come avere un marchio addosso. Tra il 1976 e il 1988 il governo concesse con riluttanza una mezza dozzina circa di Compassionate IND per l'utilizzo di marijuana. Nel 1989 l'FDA venne sommersa di richieste da parte di persone affette da AIDS, ed il numero garantito salì a 34 in un anno. Nel giugno 1991, il Servizio della Salute Pubblica annunciò che il programma sarebbe stato sospeso poiché dava un colpo basso all'opposizione della amministrazione all'uso di droghe illegali. Dopo che nessun altro Compassionate IND venne concesso, e il programma interrotto nel marzo 1992, otto pazienti stanno ancora ricevendo marijuana secondo il programma originale; per chiunque altro è ufficialmente una medicina proibita.

Molte persone sanno che la marijuana viene ora usata illegalmente contro nausea e vomito indotti dalla chemioterapia. Altri sanno che abbassa la pressione intraoculare nel glaucoma. Pazienti l'hanno trovata utile come anticonvulsivo, come rilassante muscolare in malattie spastiche, e come stimolante dell'appetito nella sindrome devastante dell'aids. è usata inoltre per alleviare il dolore da arto fantasma, crampi mestruali, e altri tipi di dolori cronici, emicrania inclusa. Votazioni e referendum hanno ripetutamente indicato che la grande maggioranza degli americani ritiene che la marijuana debba essere disponibile in medicina.

Uno dei più grandi pregi della marijuana come medicina sta nell'essere notevolmente sicura. Ha un effetto minimo sulle funzioni fisiologiche principali. Non esistono casi di overdose letale; sulla base di modelli animali, il rapporto tra dose letale ed efficiente è stato stimato come 40.000 a 1. Al confronto, la proporzione è tra 3 e 50 a 1 per il secobarbital e tra 4 e 10 a 1 per l'etanolo. La marijuana dà molta meno assuefazione ed è meno soggetta ad abuso rispetto a molte droghe usate oggi come rilassanti muscolari, ipnotici e analgesici. La preoccupazione legittima principale è l'effetto del fumo nei polmoni. Il fumo di canapa contiene più catrame e particelle di materia che il fumo di tabacco.

La quantità fumata però è molto inferiore, specialmente in ambito medico, e una volta che la marijuana diventa un farmaco apertamente riconosciuto, si possono trovare adeguate soluzioni. Pipe ad acqua possono essere una soluzione parziale, più definitiva invece è una tecnologia per l'inalazione dei vapori cannabinoidi, che può essere sviluppata per mezzo di vaporizzatori già sperimentati. Nel caso in cui fosse necessario fumarla in modo continuativo, la disponibilità legale renderebbe più agevole la presa di precauzioni contro aspergilli e altri patogeni. Al momento il pericolo più grande nell'utilizzo medico della marijuana, è la sua illegalità, che impone molta ansietà e notevoli spese a persone che soffrono e che sono forzate a trattare con spacciatori e le espone al rischio di persecuzione penale.

La sostanza attiva principale nella canapa, il tetraidrocannabinolo (delta 9 - THC), è stata resa disponibile per finalità limitate come droga sintetica del Programma II dal 1985. Si dice che questa medicina, il dronabinol (Marinol), presa per via orale in forma di capsule, possa ovviare il bisogno di marijuana ad uso medicinale. I pazienti e i medici che l'hanno provata non concordano. Il dosaggio e la durata di azione della marijuana sono più semplici da controllare, e altri cannabinoidi in forma pura dovrebbero senza dubbio essere incoraggiati, però il tempo e le risorse richieste sono notevoli e al momento non disponibili. In queste circostanze, un ulteriore isolamento per testare e sviluppare cannabinoidi singoli non può essere considerato un'alternativa al bisogno immediato di persone che soffrono.

Nonostante spesso si obietti che l'utilità medicinale della marijuana non è stata provata da studi controllati, molti esperimenti informali comprendenti un vasto numero di soggetti, ci suggeriscono la superiorità della marijuana rispetto al Marinol e ad altre medicine.

Dal 1978 al 1986, per esempio, il programma di ricerca di stato nel New Mexico fornì marijuana o Marinol a 250 pazienti circa, malati di cancro e trattati con chemioterapia, a seguito dell'insuccesso delle medicine convenzionali nel controllo di nausea e vomito. Un medico il quale aveva lavorato in questo programma, testimoniò a un'udienza della DEA che per i suddetti pazienti la marijuana era nettamente superiore alla cloropromazina e al THC sintetico.

La situazione è un po’ comica giacché sulla marijuana è stata compiuta così tanta ricerca, basata spesso su tentativi fallimentari per provarne la pericolosità, da saperne molto di più rispetto alla maggioranza dei farmaci usualmente prescritti.

La canapa può determinare un sollievo immediato al dolore misurabile in uno studio con un unico soggetto. Nel metodo sperimentale noto come la prova a caso del singolo paziente, trattamenti attivi e placebo vengono somministrati casualmente in alternanza o in successione a un paziente. Il metodo è spesso utile nei casi in cui studi controllati su larga scala sono impossibili o inappropriati poiché la malattia è rara, il paziente è atipico, oppure la risposta al trattamento è idiosincratica. Molti pazienti nel curare varie malattie, hanno intrapreso, sia deliberatamente che causa forniture inaffidabili, esperimenti in qualche modo simili, alternando periodi d’uso della canapa a periodi senza.

L'associazione medica americana fu una delle poche organizzazioni che fece sentire la sua opposizione all'Atto dell'Imposta sulla Marijuana del 1937, ma ancora oggi la maggior parte dei medici sembra avere poco interesse riguardo ad essa ed il loro silenzio è spesso menzionato da coloro che sono determinati affinché la marijuana rimanga un farmaco proibito. Nel frattempo molti dottori fanno finta di ignorare il fatto che i loro pazienti affetti da cancro, Aids o sclerosi multipla fumano marijuana per stare meglio; altri tranquillamente incoraggiano.

In un'indagine del 1990, il 44% degli oncologi ha detto di aver consigliato a pazienti di fumare marijuana per alleviare la nausea indotta dalla chemioterapia: se l'uso di marijuana fosse veramente rischioso anche sotto supervisione medica, come il Programma I attesta, questo consiglio sarebbe impensabile. È tempo che i medici riconoscano più apertamente che l'attuale classificazione è scientificamente, legalmente e moralmente sbagliata.

I medici hanno il diritto e l'obbligo di essere scettici riguardo a richieste terapeutiche per qualsiasi sostanza, ma solo dopo aver messo da parte paure e dubbi connessi con il marchio di uso di droga illecita e non medica. Sostenitori dell'utilizzo medico della marijuana sono a volte accusati di usare la medicina come un fendente per aprire la via all'uso "ricreazionale". L'accusa è falsa così applicata al suo obbiettivo, ma esprime in forma distorta una verità circa gli oppositori della marijuana come medicina; non ammetteranno che può essere un farmaco sicuro ed efficiente, soprattutto perché sono testardamente impegnati ad esagerarne i pericoli nell'ambito di un uso non medico.

Non si sta chiedendo ai lettori di essere d'accordo con l’affermazione che la marijuana è utile in medicina, ma speriamo che facciano di più per incoraggiare un'esplorazione aperta e legale delle sue potenzialità. L'ostentata indifferenza dei medici non dovrebbe più essere usata come giustificazione per tenere questa medicina nell'ombra.

Già un ventennio fa il governo degli Stati Uniti ha dovuto autorizzare l'uso medico della marijuana al Sig. Randall che aveva inoppugnabilmente documentato l'effetto benefico che il fumare fiori di marijuana produceva sul suo glaucoma. Questa grave malattia oculare è causa di violenti mal di testa con notevole malessere per l'aumento della pressione endoculare che conduce inesorabilmente alla cecità. "Studi su animali di laboratorio condotti nell'University of California di San Francisco, nell'University of Michigan e nella Brown University hanno concluso che i cannabinoidi, ingredienti attivi della marijuana, sono capaci di alleviare il dolore, anche quello cronico, agiscono da potenti anti-infiammatori e non richiedono dosi sempre maggiori perché i pazienti non sviluppano tolleranza" (Manifesto 28.10.97). Il New York State Journal of Medicine nell'ottobre del 1988 pubblica uno studio condotto su 56 pazienti, in terapia con farmaci antitumorali, che non avevano tratto benefici dagli agenti antiemetici convenzionali. Dopo aver fumato marijuana il 78% dei pazienti risultò libero dai sintomi.( Grinspoon- Bakalar: Marijuana, la Medicina Proibita).

Negli ultimi anni, sia in America che in Europa, migliaia di pazienti sottoposti a chemioterapia per la cura del cancro e dell'AIDS si sono organizzati in gruppi e associazioni per un mutuo aiuto a procurarsi la marijuana correndo notevoli rischi legali. In California una grande campagna informativa e propagandistica ha consentito a queste associazioni di vincere un referendum popolare, nel novembre del '96, che consente ai medici di prescrivere la marijuana come farmaco. Attualmente in otto Stati americani, dopo altrettanti referendum popolari, è consentita la prescrizione della marijuana. Minimizzare gli effetti terapeutici ed esaltare la pericolosità degli effetti secondari non è servito a buttare nel dimenticatoio questa "medicina proibita".

La maggior parte dei medici italiani conosce la canapa sotto il nome di marijuana o Cannabis indica, pochi associano questa pianta alla canapa italiana, ancora meno sono quelli che realizzano mentalmente che tra Cannabis indica e canapa sativa non c'è nessuna differenza botanica e/o morfologica. Sono pochi anche i medici a conoscenza delle potenzialità farmacologiche di questa pianta e tanto meno dell'affidabilità e sicurezza come farmaco.

Non si tratta certo di impreparazione, ma la mancanza di bagagli informativi e la quasi assenza dagli studi di farmacologia medica, ha evidenziato, di questa pianta, solo la droga, più o meno pericolosa, ma sempre droga.

Il THC, sostanza psicoattiva, è una molecola lipofila, cioè si lega facilmente ai grassi. Dopo l'assorbimento circola nel sangue e in 14 minuti la concentrazione ematica si dimezza, poi impiega fino a 136 min. per dimezzarsi ancora, questi tempi rappresentano la distribuzione ai tessuti e la formazione dei metaboliti, prodotti delle iniziali trasformazioni biochimiche del THC. Queste trasformazioni avvengono principalmente nei polmoni e nel fegato con produzione di metaboliti quali il 7-OH-THC e 11-OH-THC (7 e 11-idrossi-THC) ancora più attivi del THC. Nel cervello si ritrovano i recettori per i cannabinoidi cioè esistono dei siti specifici che accolgono delle sostanze naturali, neurotrasmettitori, capaci di stimolare quegli stessi recettori. Si può dire che esiste un THC naturale nel cervello. La scoperta di questi recettori e la loro localizzazione in determinate zone rende ragione degli effetti farmacologici riscontrati in tante patologie. L'eliminazione del THC e dei suoi metaboliti è urinaria ed intestinale e una singola dose viene eliminata completamente in una settimana. Tra le altre curiosità, sul Sistema Nervoso Centrale (il cervello) il THC ha azione ipotermizzante, (abbassa la temperatura), analgesica ed anticonvulsivante. Abbassa la pressione del sangue specie quella ortostatica (quando ci si alza in piedi da una posizione sdraiata), provoca dilatazione dei bronchi ecc. Questi effetti, intesi solo come complicanze aggiuntive agli effetti psicoattivi, sono in realtà squisitamente farmacologici.

La Storia della Medicina ci dice molto, o meglio, ci diceva molto della canapa come medicina, ora lo dicono le testimonianze dirette di malati che hanno imparato sulla propria pelle a dosare al meglio questa medicina per sfruttarne gli effetti farmacologici.

La prima ufficializzazione dell'uso medico della cannabis la ritroviamo nell'"Erbario Cinese" pubblicato circa 5000 anni fa durante il regno di Chen Nung. C'è poi una lunga storia del suo uso in India, Cina, Sud-Est Asiatico, Africa e Sud America.

Uno dei primi medici occidentali a mostrare profondo interesse per la canapa è stato W.B.O'Shaughnessey che ha osservato il suo utilizzo mentre lavorava in India al Medical College di Calcutta. Nel 1839 egli ha pubblicato un rapporto concludendo che la Cannabis era un efficace analgesico e un anticonvulsivo di grande valore.

Nel 1842 O'Shaunghnessey ritornò in Inghilterra portando con sé la tintura di canapa e ben presto si diffuse tra i medici la prescrizione di tale farmaco in una serie di disturbi. La Regina Vittoria usava la canapa per alleviare i dolori dei crampi mestruali. Infatti durante il suo regno(1837-1901) ebbe una impennata l'uso medico della canapa con un centinaio di pubblicazioni mediche che raccomandavano l'uso della Cannabis nel trattamento di numerosi disturbi e malattie. Durante tal periodo la canapa era uno dei tre medicinali più prescritti.

Nel 1937, negli USA, l'uso medico della canapa è stato severamente limitato dal Marijuana Transfer Act. Nel 1960 però una ricerca federale è arrivata alla conclusione che la canapa, contrariamente alla credenza popolare, non era una droga che distruggeva la coscienza ma una sostanza con un incredibile potenziale terapeutico. Nel ‘76 il governo USA mise fine alla ricerca federale sulla Cannabis, lasciando i futuri progressi della ricerca nella mani delle Pharmaceutical Companies che dovevano essere interamente autofinanziate. La speranza del governo era che le case farmaceutiche trovassero un forma sintetica di THC privo dell'effetto psichedelico ed inoltre senza costi per lo stesso governo. Effettivamente La Eli Lilly produsse il Nabilone ed il Marinol ma gli effetti farmacologici sono ben inferiori a quelli della Cannabis e con alcuni seri disturbi collaterali.

Nel 1986, dopo anni di campagna condotta da gruppi di pressione, si è scatenato il dibattito pubblico sul potenziale terapeutico della canapa. Francis Young dopo oltre due anni di inchieste concluse che: "la marijuana, nella sua forma naturale, è una delle più sane sostanze terapeuticamente attive conosciute dall'uomo".

Raccomandava inoltre di renderla legalmente disponibile per la prescrizione medica. La DEA (Drugs Enforcement Agency) rigetta questo parere definendolo : "un crudele imbroglio".

La moderna Storia della Medicina ci dice molto poco sia dal punto di vista sperimentale che da quello clinico; la maggior parte delle documentazioni viene raccolta da iniziative di singoli privati o di associazioni. La scienza ufficiale non si attiva o si attiva solo sporadicamente. La ricerca privata delle Case Farmaceutiche si tiene in disparte. Invece di incentivazioni alla ricerca si operano dissuasioni. Su questa pianta il silenzio e la disinformazione dominano sovrani.

L'innocuità dell'uso medico è stata riconosciuta dalla stessa DEA (polizia antidroga americana) già dal 1988: "è una delle sostanze farmacologicamente più sicure". Non c'è un solo motivo che giustifichi la mancanza di investimenti in questa medicina che prospetta grossi vantaggi per l'economia e per tutta la gente che conosce la sofferenza.

È un ottimo antiasmatico perché funziona da broncodilatatore.

Anti-nausea e anti-vomito di grande utilità nei malati di AIDS e/o di tumori che assumono chemioterapici, in questi casi funziona anche da ansiolitico e stimola opportunamente l'appetito. Nel 1971 il Medical World News riportava un sicuro beneficio nel 60% degli epilettici. Il dentista potrebbe utilizzarla per ridurre la saliva durante gli interventi. Efficace nell'emicrania, nell'enfisema, negli spasmi muscolari, paraplegia, tetraplegia.

L'effetto antidolorifico, ben conosciuto nell'antichità, tanto da essere usato anche per alleviare le doglie del parto, ha ricevuto di recente un'ulteriore conferma da uno studio condotto dagli scienziati dell'Università della California di San Francisco, pubblicato su Nature del 24 settembre 1998. Ian D.Meng e colleghi hanno scoperto che i cannabinoidi agiscono nello stesso modo degli oppioidi, come la morfina, ma usando un meccanismo diverso a livello cellulare. L'articolo di Nature conclude: "essendo quello antidolorifico l'unico effetto in comune (ad esempio, i cannabinoidi stimolano l'appetito, mentre gli oppioidi possono causare nausea e depressione respiratoria), i cannabinoidi possono essere usati nel trattamento del dolore." Già nel 1995 alcuni scienziati di Gerusalemme hanno valutato gli effetti del delta-8-tetraidrocannabinolo (delta-8-THC), un cannabinoide con basso potere psicotropo rispetto al principale costituente della Cannabis delta-9-tetraidrocannabinolo, somministrandolo per via orale (18 mg/m2 in olio alimentare) ad otto bambini, di età compresa tra 3 e 13 anni affetti da vari tumori del sangue trattati per più di otto mesi con differenti farmaci antineoplastici. Il trattamento con THC è incominciato 2 ore prima di ogni trattamento antineoplastico ed è continuato ogni 6 ore per 24 ore. Il vomito è stato completamente prevenuto. Gli effetti collaterali osservati sono stati trascurabili.


"Possibili Applicazioni Terapeutiche della cannabis"


Curativo di nevralgie, compreso emicrania e tic douloureux -

Agente di ritiro da assuefazione da narcotici e alcool -

Ipotensivo intraoculare (curativo del glaucoma) – Antiepilettico –Antispasmodico – Antidepressivo – Tranquillante - Stimolante dell'appetito – Analgesico - Analgesico da parto – Antiasmatico - Antiinfiammatorio - Anestetico topico – Ipotermogenico -

Antidolorifico – Antiasmatico - Anti-nausea – Ossitocico -

Anti-tosse – Antibiotico – Broncodilatatore.


DUE DOMANDE FREQUENTI


La cannabis da dipendenza ?

Una droga da dipendenza fisica quando:

  1. provoca il bisogno di quantità sempre maggiori per avere gli effetti desiderati (assuefazione);

  2. la sospensione dell’assunzione provoca spiacevoli sintomi, noti come sindrome da astinenza.

Per quanto riguarda la cannabis, sul primo punto non esiste accordo tra i ricercatori: secondo alcuni, che basano le loro conclusioni su esperimenti condotti su animali da laboratorio, sarebbe dimostrata una necessità di un aumento delle dosi per ottenere gli effetti desiderati. Altri al contrario hanno evidenziato che i consumatori abituali di cannabis riescono ad ottenere gli effetti desiderati con dosi più basse di un consumatore alle prime esperienze. I consumatori abituali riuscirebbero a controllare e a "dirigere" gli effetti meglio di quanto non riesca a fare, a parità di dose, un neo-consumatore.

Quanto al secondo punto invece è accertato che anche in consumatori abituali costretti a brusca sospensione, non è mai stata evidenziata alcuna forma di crisi da astinenza, il che consente di escludere l'esistenza di una dipendenza fisica.

Di tanto in tanto i mass media hanno dato risalto ai risultati di alcuni studi che dimostrerebbero il contrario. Ne raccomandiamo la lettura approfondita, per rendersi conto di come i pregiudizi possano far velo alla obiettività scientifica!

L'esistenza o meno di una dipendenza psicologica è oggetto di controversie e dipende in larga parte da ciò che si vuole intendere con questo termine.

Laddove la maggior parte dei consumatori, almeno nel mondo occidentale, fa un uso occasionale della sostanza, in contesti ricreativi analoghi a quelli dei consumatori occasionali di alcolici, esiste una parte di consumatori che affida alla cannabis il proprio disagio esistenziale, in cui la mancata disponibilità della sostanza può generare malessere e comportamenti coattivi. Questi tuttavia non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli dei consumatori abituali di oppiacei o a quelli dei più numerosi, e socialmente accettati, fumatori di tabacco: provate a togliere le sigarette ad un fumatore...

Nel dicembre '97 una commissione di esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità ha depositato i risultati di uno studio comparativo tra cannabis, alcool e tabacco (vedi sezione precedente). Lo studio indicava, aldilà di ogni dubbio, che i derivati della cannabis inducono una dipendenza meno forte e rappresentano una minaccia meno grave per la salute, rispetto ad alcool e tabacco, anche per chi ne fa un uso esteso e quotidiano.

Su pressioni dell'amministrazione USA, tali risultati sono stati censurati, e non compaiono nella versione ufficiale del rapporto.


Il consumo di cannabis porta al consumo di eroina?

Uno dei luoghi comuni più diffusi è che il consumo di cannabis costituisca una sorta di anticamera al consumo di eroina. Questa convinzione è assolutamente priva di fondamento scientifico!

Essa si basa sulla osservazione superficiale del fatto che la maggior parte dei consumatori di eroina riferisce di avere "incominciato" con i derivati della cannabis. Per stabilire, in maniera scientificamente corretta, l'esistenza o meno di un nesso tra i due fenomeni bisogna ribaltare i termini della questione. Non bisogna cioè chiedersi quanti consumatori di eroina abbiano fatto le loro prime "esperienze" con gli spinelli, ma al contrario: quanti fra i consumatori di cannabis passano prima o poi all'eroina? Dati ricavabili dalla esperienza olandese dimostrano che appena il 4,3% dei consumatori di cannabis ha provato l'eroina almeno una volta e che appena lo 0,2% è divenuto un consumatore abituale di questa sostanza. Se ciò non bastasse le 2 sostanze sono profondamente differenti dal punto di vista chimico e farmacologico, agiscono su differenti recettori, hanno modalità di assunzione ed effetti profondamente diversi.


Nulla quindi, se non i pregiudizi, ahinoi assai duri a morire, autorizza a ritenere che il consumo di derivati della cannabis porti al consumo di eroina.

Intervista a Lester Grinspoon

Fuoriluogo anno1 numero8


Ho incontrato Lester Grinspoon a Bologna, prima dell'incontro sulla canapa medica organizzato da Forum Droghe. Affabile e disponibile, Grinspoon colpisce per la semplicità colta del linguaggio con cui spiega all'interlocutore questioni scientifiche complesse e per la passione, temperata dall'ironia, con cui tratta i risvolti politici di questa battaglia. E' affascinante ripercorrere la sua storia. Medico psichiatra, docente alla prestigiosa università Harvard Medical School, ha iniziato ad occuparsi della canapa nel '67. A quell'epoca la marijuana cominciava ad essere molto popolare tra i giovani, simbolo delle culture alternative degli hippies, mentre impazzava la propaganda sulla nocività dello spinello, che, si diceva, portava alla follia. "Anch'io ne ero convinto - mi spiega - e pensavo che i miei studi avrebbero portato argomenti alla pericolosità della marijuana. Con mia sorpresa ho scoperto che ero stato mal informato dal governo: nonostante la mia formazione medica avevo subito un vero e proprio lavaggio del cervello, come moltissimi americani del resto". Il suo primo articolo nel '68 e poi il libro "Riconsiderare la marijuana" fecero scalpore: un docente di Harvard, un'autorità scientifica indiscussa, osava sostenere che la canapa era meno pericolosa dell'alcol e del tabacco! E che era più dannoso arrestare 300.000 giovani l'anno per lo spinello!

Già nel suo primo libro affrontava il tema dell'uso medico, su cui poi ha concentrato i suoi studi. Nel suo volume "Marijuana, la medicina proibita", la tesi dell'utilità medica della canapa è sostenuta da un'ampia raccolta di casi clinici.

Ma Grinspoon non è solo uno studioso: è generosamente in prima linea nell'assistere i pazienti, che si rivolgono a lui da ogni parte dell'America per avere le informazioni che i medici curanti si rifiutano di dare. Ed è anche impegnato attivamente contro l'oscurantismo proibizionista per divulgare tra la classe medica e l'opinione pubblica il patrimonio di conoscenze scientifiche sulla canapa. Abbiamo parlato a lungo con lui, anche sulle prospettive politiche del movimento pro canapa terapeutica.

INTERVISTA


Professor Grinspoon, ci sono ancora dei dubbi sull'utilità terapeutica della canapa?

Dal punto di vista scientifico no. Se i governanti riacquistassero la ragione, sarebbe considerata un farmaco miracolo come la penicillina. Perché al pari della penicillina è poco costosa (tolta la "tassa" della proibizione), è utile per molti disturbi e malattie, ed è innocua. Del resto è stata prescritta dai medici dalla metà del 19° secolo fino agli inizi del '900, e non si è mai registrato, e sottolineo mai, un caso di morte per l'uso di questa sostanza. Nessun altro farmaco può vantare un tale indice di innocuità. L'aspirina, per fare un esempio, è considerata sicura e relativamente poco dannosa: ma da mille a duemila persone negli Usa muoiono ogni anno per aver ingerito aspirina, e 74.000 sono ricoverate per gli effetti collaterali degli antinfiammatori. Tant'è che un numero crescente di pazienti con l'osteoartrite preferisce fumare la canapa, quando il dolore non è troppo forte.

Ma il recente rapporto dell'Istituto di Medicina dell'Accademia Nazionale delle Scienze non raccomanda ulteriori ricerche, soprattutto per trovare modalità di assunzione meno dannose del fumo?

Il rapporto ha esagerato i rischi del fumo e non ha valorizzato la vastissima documentazione di casi clinici, che testimoniano l'ampiezza delle applicazioni terapeutiche della canapa e la bassissima tossicità. E' vero che non esistono ricerche con gruppi di controllo per sapere la percentuale dei casi in cui la marijuana può essere efficace per un certo disturbo. Ma non c'è bisogno di studi così costosi. La prima regola del medico è quella di non nuocere al paziente. Se curo un malato di cancro che soffre per la chemioterapia e non trae beneficio dai farmaci tradizionali, posso consigliargli di provare la marijuana, perché so che molti ne hanno tratto vantaggio. Non posso garantirgli che funzionerà, ma posso garantire che non gli nuocerà.

Dunque il rapporto non è soddisfacente?

Da un punto di vista politico è molto importante. Non dimentichiamo che è stato lo zar antidroga, Barry McCaffrey a commissionare la ricerca. McCaffrey ha sempre sostenuto che l'applicazione medica della marijuana è una "presa in giro" e che tipi come Grinspoon vogliono perpetuare la beffa per legalizzare la canapa ad altri scopi. Lo zar pensava che lo IOM gli avrebbe offerto una sponda per bloccare definitivamente a livello federale i referendum approvati in California ed altri stati. Il rapporto ha invece riconosciuto la validità terapeutica della canapa, anche se prende tempo per permettere alle industrie farmaceutiche di sviluppare modalità di assunzione diverse dal fumo. Ha anche stabilito che la canapa non produce dipendenza e non è una "droga di passaggio" a sostanze pericolose. Chiunque la usi sa che è così, ma è significativo che sia una ricerca commissionata dal governo a dirlo.

E' McCaffrey a prendere in giro gli americani, adesso è chiaro a tutti. Eppure Clinton continua a dichiararsi contrario.

Certo, ci sono interessi enormi in gioco anche economici. Le industrie farmaceutiche sono contrarie perché la marijuana può sostituire a basso prezzo farmaci molto costosi. Le ditte farmaceutiche non a caso sovvenzionano con migliaia di dollari l'ente di propaganda proibizionista, la "Drug free America". E poi c'è la pressione dell'opinione pubblica conservatrice. Non si tollera che sia legittimata una sostanza che ti fa gustare di più il cibo, il sesso, la vita insomma. Il piacere è una minaccia terribile.

Tutti i referendum fin qui promossi sono stati approvati, dunque sembra che la maggioranza dei cittadini sia convinta dell'utilità terapeutica della canapa.

Le cose stanno cambiando, questo è certo. Tutti i sondaggi dicono che dal 65 al'85% degli americani sono a favore. Anche i medici, che sono stati agenti e vittime dell'ideologia proibizionista, stanno mutando atteggiamento. E' vero che non sanno niente sulla canapa né trovano informazioni sulla letteratura scientifica, o nei corsi ufficiali di aggiornamento. Ma per la prima volta da molto tempo i medici stanno imparando dai loro pazienti, che usano la canapa per proprio conto. E così questi medici la consigliano ad altri pazienti, magari dicendo sottovoce "non dire che te l'ho detto, però provala".

Non c'è il rischio di "medicalizzare" la canapa? Magari in un futuro si potrà assumerla in pillole, mentre l'uso ricreativo continuerebbe ad essere criminalizzato.

No, non è possibile. Le industrie difficilmente produrranno questi farmaci, perché sono più costosi della canapa, anche se illegale. L'anno scorso 700.000 americani sono stati arrestati per l'uso di marijuana. Nonostante questa enorme repressione la canapa è fumata anche a scopo medico. Perché le industrie dovrebbero entrare in questa competizione che le vede perdenti in partenza? C'è di più. I derivati sintetici sono meno efficaci della pianta naturale. Già oggi esiste il Marinol, il THC sintetico, ma molti malati preferiscono fumare la marijuana perché funziona meglio e costa meno. L'unico modo per venire davvero incontro alle esigenze dei pazienti è di legalizzare la marijuana per qualsiasi uso.

Fino a quando il governo e i politici potranno contrastare il movimento crescente per la canapa medica?

I politici stanno cominciando a ricevere il messaggio. Ai tempi del referendum in California, il Procuratore Generale di allora era ferocemente contrario. Quando si è candidato a governatore, è stato sconfitto. Oggi l'attuale procuratore è favorevole. Di recente il governatore del New Mexico si è dichiarato a favore della legalizzazione della canapa alla pari dell'alcol, e ha ammesso di averla fumata. Piano piano anche i medici verranno allo scoperto e i cittadini si renderanno sempre più conto dell'utilità della canapa e la repressione diventerà impopolare.

Dunque la legalizzazione è all'orizzonte?


Non nell'immediato, ma quando sarà accettato l'uso medico, certo il governo non sarà più così rigido con chi fuma. Oppure la legge di proibizione rimarrà sulla carta, ma non sarà più applicata. In 14 stati americani il sesso orale è ancora proibito, ma la legge è disattesa. Molti cittadini non sanno neppure che esiste.


La legislazione italiana


Il consumo ed il commercio degli stupefacenti in Italia sono regolati da una legge del '90, la cosiddetta legge Iervolino-Vassalli dal nome dei due promotori (legge n.162 del 26/6/90), poi inserita nel Testo Unico sulle Sostanze stupefacenti con decreto n.309 del 9/10/90.

Questa normativa, ispirata dall'allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi, puniva tanto la vendita che il consumo di stupefacenti.
Con il referendum del 18 aprile 1993 essa è stata in parte modificata, introducendo il principio della non punibilità per il consumatore.

In sostanza oggi è reato soltanto la vendita e la detenzione di droga per uso non personale, nonché la coltivazione della cannabis a qualsiasi titolo (c'è però in proposito una interessante sentenza del Tribunale di Macerata); mentre per il consumatore non è previsto il carcere, ma solamente alcune sanzioni amministrative.

Le pene previste per lo spaccio sono assai severe e vanno sino ai venti anni per le cosidette droghe pesanti (eroina, cocaina) e sino ai sei anni per i derivati della cannabis.

Se è vero che la detenzione per uso personale non è prevista come reato, è altrettanto vero che la legge lascia ampi margini di discrezionalità nel giudicare se il quantitativo detenuto puó essere considerato o meno destinato all'uso personale. Né si può dire che le recenti sentenze della Corte di Cassazione abbiano contribuito a fare chiarezza in materia!

Va inoltre ricordato che è considerato reato anche la cessione gratuita a terzi (cosiddetta cessione amicale) e pertanto rischia di essere imputato per spaccio anche chi semplicemente regala uno piccolo quantitativo ad un amico o addirittura chi, come sancito da un'altra recente sentenza della Corte di Cassazione, "passa" uno spinello al proprio vicino!

Se l'uso personale è esente da pene detentive, non è esente da conseguenze. Chiunque venga trovato in possesso di cannabis per uso personale può infatti essere convocato davanti al prefetto o suo incaricato, sottoposto alla sospensione della patente o del passaporto per un periodo sino a quattro mesi ( n.b. nel febbraio '98 tale aspetto della normativa è stato oggetto di un'altra sentenza della Corte di Cassazione), invitato a sottoporsi ad un programma terapeutico e riabilitativo concordato con il competente servizio pubblico per le tossicodipendenze.

Le modifiche introdotte dal Referendum del 18 aprile 1993 e le recenti sentenze della corte di cassazione rendono l'attuale Testo Unico assolutamente contraddittorio ed inadeguato!

Il governo Prodi, prima nel suo programma elettorale e successivamente facendo proprie le conclusioni della Conferenza nazionale tenutasi a Napoli nel marzo '97, ha, almeno in linea di principio, accettato una politica di riduzione del danno che prevede la depenalizzazione completa di tutti gli atti finalizzati al consumo personale dei derivati della cannabis, compresa la coltivazione domestica. A causa dei contrasti interni alla maggioranza, con i popolari arroccati su una posizione di rifiuto pregiudiziale e ideologico, questa esperienza di governo si è conclusa senza che nessun passo concreto sia stato compiuto.

Il 3 novembre 1997 la Commissione per le libertà pubbliche aveva approvato una raccomandazione rivolta ai governi dei Paesi dell'Unione europea, in cui si chiedeva esplicitamente di depenalizzare il consumo di droghe leggere, di regolamentare il commercio e la produzione di cannabis e derivati. Il testo è stato fortemente osteggiato dalle destre, rinviato in Commissione, sottoposto a pesanti tagli e quindi definitivamente approvato in sessione plenaria ad inizio di ottobre '98.

Sono state, infine, recentemente consegnate al Presidente della Camera le firme raccolte in calce ad una proposta di legge di iniziativa popolare che punta alla liberalizzazione della cannabis e alla depenalizzazione di tutti i comportamenti legati al consumo di droghe, non riconducibili allo spaccio. Dall'insieme di questi dati ci sembra di poter affermare che i tempi sono maturi perché Governo e Parlamento si impegnino a rivedere, senza ulteriori rinvii, la normativa attuale, che per quanto sopra esposto risulta assolutamente inadeguata e contraddittoria.


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