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Informazione Antifascista 1923
Gennaio-Febbraio - a cura di Giacomo Matteotti ·


pubblicato il 8.04.05
La destra italiana e la protesta anti immigrati: un’analisi comparativa con “la nuova destra europea”
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La destra italiana e la protesta anti immigrati: un’analisi comparativa con “la nuova destra europea”
di Roberto Chiarini

Io procederò, e mi scuso, per schemi riducendo al minimo le argomentazioni per rendere sopportabile la seconda metà della giornata che so, man mano si procede poi, ne fanno le spese i colleghi che parlano più tardi e ne fa ancora di più le spese il pubblico che ha la pazienza di seguire.
Quindi enuncio e non argomento, diciamo… naturalmente questo impoverisce la ricchezza del ragionamento ma credo che sia importante avere almeno a pieno l’arco del ragionamento.
Stamattina Ignazi ha argomentato diffusamente come a partire dagli anni 70, ma in maniera prorompente negli anni 80, assistiamo in Europa alla nascita di questa nuova famiglia di partiti chiamata Nuova Destra che segna una discontinuità.
È interessante allora vedere come vive questo passaggio un partito che invece è campione della continuità, perché è l’unico partito europeo che stabilmente occupa e riesce ad occupare, a presidiare, con gli artigli anche, la scena politica continuativamente dalla fine della guerra.
Un partito di destra che espressamente è un partito che, dall’aspetto programmatico, al personale politico, all’armamentario ideologico e simbolico, si rifà al ventennio, è quindi un partito a pieno titolo neofascista.
La cosa che emerge e che spicca è che da noi non nasce nessuna politica espressamente etichettabile come nuova destra, cioè che fa della protesta antiimmigrati la sua rivendicazione cardine, se non esclusiva e determinante.
[il discorso non fila] So a cosa pensate, e in particolar modo alla Lega e in effetti la Lega è un fenomeno per certi aspetti funambolico, per certi versi anche molto eclettico… bisogna dire però che per quante assonanze abbia e, in una certa stagione, quasi una identificazione, si può parlare di tante leghe, o meglio, di tante stagioni della Lega e quindi è, da questo punto di vista, non un esempio tipico.
Vi faccio notare, tra parentesi, che la confusione ha regnato così sovrana in materia che mi ricordo, quando ho finito di scrivere il libretto sulla storia della destra in Italia (eravamo nel ’95) mi chiesi dove la metto la Lega?
E nei mass media, oltre che nel mondo politico anche di sinistra era avvalorata come un partito di centro o una eterodossa di sinistra. Non sto qui a ricordarvi certe uscite infelici in proposito.
Sulla base dei valori che risultano dai sondaggi condivisi da questo popolo e sulla base tante altre cose, io la considero di destra.
Naturalmente non è che Bossi sia diventato di destra perché ha letto il mio libro ma evidentemente non ci voleva molto a cogliere questi dati di fondo che non potevano che portare la Lega in uno schieramento di centro destra.
A parte il caso Lega che meriterebbe di essere studiato più approfonditamente: è stato un po’ studiato ma forse varrebbe la pena

Mi sono proposto un fine molto più specifico: vedere l’evoluzione e il destino della destra “tradizionale”, la desta per eccellenza italiana che, nel senso comune oltre che in sede storiografica, è sempre stata considerata l’MSI.
Ora, a fronte del fatto che nessun partito in Italia si fa imprenditore della protesta antiimmigrati, c’è da constatare il fatto che l’unica destra stabilmente operante ha un rapporto con questa protesta molto ambiguo e molto controverso, che sarà oggetto di questa mia riflessione.
Vorrei però notare, una quarta osservazione, che la protesta antiimmigrati in Italia rispetto alla maggior parte dei paesi europei democratici non riesce a conquistare le prime posizioni dell’agenda politica. È un tema che in sottofondo emerge con prepotenza ma emerge come sintomo di un disagio, come elemento coagulante di proteste o di movimenti profondi della società, ma in nessun partito, e soprattutto nel proscenio politico, non è mai emersa come un elemento caratterizzante dell’agenda politica.
Fa delle comparse, emerge ma il sistema politico tende come a affrontarla solo nel momento in cui diventa un’emergenza, altrimenti tenta di depotenziarla, depoliticizzarla lasciandola ai margini.
Quinta osservazione: la protesta anti immigrati, rispetto al resto dell’Europa, non è riuscita finora a ingenerare una spinta verso un movimento nell’opinione pubblica che potremmo chiamare – stamattina se ne è parlato a lungo soprattutto per il caso austriaco – una specie di neonazionalismo antiuniversalista e antidemocratico. Naturalmente esiste la protesta, ha delle valenze politiche ben chiare, ma non ha espresso a livello di dimensione eminentemente politica le potenzialità che mantiene in Italia, e la cosa interessante è che si mantiene, a mio giudizio, in maniera non difforme dal resto dei paesi.
Quindi c’è un divario, una simmetria, tra l’Italia reale e l’Italia legale, cioè i movimenti di opinione pubblica e la loro rappresentazione nel sistema politico.
Non sto qui a ricordarvi come da noi emerga il problema dell’immigrato più tardi rispetto agli altri paesi per tante ragioni anche eminentemente, potremmo dire, cronologiche e, insieme, storiche; cioè il fatto che un paese di emigranti è diventato un paese di immigrati solo dopo l’apertura della stagione della recessione economica, gli anni 70 col ritorno di emigrati italiani. Negli anni 80 cominciano a comparire ma non raggiunge percentuali tuttora avvicinabili ai maggiori paesi europei. Quindi in termini quantitativi non raggiunge le dimensioni di paesi come l’Inghilterra, la Francia (dove per altro è un problema consostanziale al suo profilo di paese coloniale o ex paese coloniale), o la Germania.
[il discorso non fila] Sapete anche che il mondo politico lo affronta sempre sull’onda di emergenze: basti ricordare la Legge Martelli i due decreti, prima il Decreto Dini-Prodi (già che si usi il decreto legge è significativo)… e sull’onda della necessità impellente o di dare una sistemazione a condizione a centinaia di migliaia di immigrati che sono non normati e quindi rischiano di finire nella clandestinità anche se non lo vogliono.
[il discorso non fila] E quindi è un problema di sanatorie che è proprio di un intervento di emergenza, mai con una legge di largo respiro e frutto di una sistemazione di questa sfida.
[il discorso non fila] Ammesso che si possa avere una sistemazione… diciamo così, un intervento meditato e organico, anche se l’ultima legge, la Legge Prodi del 98, ha in parte le caratteristiche ma se non altro ha l’ambizione di dare una sistemazione del problema.
Ovviamente anche l’opinione pubblica, oltre che i partiti, vive la protesta antiimmigrati come una questione politica che attiva lo schieramento destra-sinistra (credo che non ci sia bisogno di prolungarsi in questa riflessione).
Io vorrei solo entrare nel merito del problema con questa serie di osservazioni.
Lo specifico del sistema Italia, potremmo dire, del sistema “paese Italia”, nel tematizzare la questione immigrati è rappresentato da due fattori: uno è l’assenza di radicalità con cui vengono già avanzati i timori e tutta la tematica della protesta.
[il discorso non fila] Poi vengono in genere recepite e si manifestano nella loro valenza di spinte verso una conflittualità radicale.
[il discorso non fila] Ma soprattutto il fatto che il sistema politico abbia una funzione invece che divaricante una funzione integrativa e depotenziante della carica conflittuale che ha questa…
[il discorso non fila] Io vorrei solo svolgere ed enunciare queste prime due osservazioni con questo ragionamento.
I dati demoscopici che abbiamo a disposizione dimostrano che in Italia i sentimenti razzisti non sono così assenti come si crede ma anzi sono sostanzialmente nelle proporzioni degli altri paesi.
Un sondaggio del ’97 europeo ci dice che soltanto il 35% degli italiani si dichiara per niente razzista, e gli altri sono o moderatamente o apertamente razzisti. Lasciamo stare la percentuale, quel che ci interessa dire è che non siamo un’eccezione positiva nel panorama europea che ci garantisce da questa deriva xenofoba. Nel paese esiste questo orientamento, orientamento che ha le proporzioni… nel resto del paese.
Per cui se la cultura politica e il sistema politico desse rappresentanza e valorizzasse questo potenziale… e non c’è mai da essere sicuri da questa parte; se consideriamo la politica come una grande arena che funziona come un mercato è ovvio che se ci sono delle domande, delle pressioni… se c’è una domanda è molto probabile che si formi anche una offerta. Sempre che non ci siano delle contromisure che permettano di arginare o di depotenziare quella ___
E quali sono finora gli elementi… io pensavo anche stamattina di fronte al caso austriaco… perché le cose che si dicono dell’Austria… molto di questo sulle forme della politica, sulle dimensioni della politica, sulle inclinazioni, su certi elementi che fanno proprio ormai dell’oggi in tutta Europa in maniera non molto diversa… il fatto dello starsystem, i problemi di una civiltà che si sente disintegrata, le paure, l’insicurezza sono tutti fenomeni globalizzati.
Allora, perché in Austria sì e in Italia no? Certo il problema è molto grande però…
Quali sono i fattori che in Italia hanno fatto sì che finora non ci sia stato un trabordamento [controllare il termine], e soprattutto non si è coagulata questa protesta anti immigrato in un preciso soggetto politico che si faccia imprenditore di questo mercato.
Io credo che ci siano anche qui… forse ci aiuta già notare che gli episodi di intolleranza sono frequenti anche in Italia, forse non così violenti e così frequenti come in alcuni paesi europei, ma non sono molto diversi da resto. Comincia ad essere diverso quando il fatto, l’episodio da individuale da occasionale diventa più strutturato, cioè diventa appoggiato da qualche forza, da qualche associazione o da qualche gruppo che ha una qualche visibilità associativa. Già in quel momento scatta una forma di distanziamento che a mio avviso funziona già da antidoto. Ma soprattutto quando questo [questo cosa?] comincia un timido o un implicito affaccio politico qui avviene lo… scatta la censura che in qualche misura contiene la sua espressività politica.
[il discorso non fila] Non è mai successo che qualche forza politica abbia dato l’avvallo… forza politica organizzata presente nello scenario politica… forme di intolleranza espresse… ma l’intervento viene sempre quando viene in qualche maniera per depotenziare il significato e ricondurlo verso una fisiologia che va compresa, sono tolte le cause, ma mai… non dico che si arrivano a punte così come abbiamo sentito raccontare questa mattina dell’Austria in cui addirittura si afferma appunto quello che dicevo: [il discorso non fila] una ideologia antiuniversalistica, antidemocratica in maniera organica, ma nemmeno con delle formulazioni…se non insomma con qualche uscita singola quasi sempre fortemente censurata.
In particolare credo che a trattenere l’affacciarsi del sentimento xenofobo nella dimensione apertamente politica, funzionino due meccanismi.
Il primo meccanismo lo chiamerei “il meccanismo di censura della storia”: cioè nella cultura politica italiana diffusa, consolidata si è instaurata una equazione irriflessa per cui razzismo uguale a fascismo, a reazione, a regressione e quindi direi quasi ad anticiviltà. E da questo punto di vista ovviamente si determina una specie di mobilitazione preventiva che fa da barriera all’ingresso nella scena politica. Questo devo dire che ha funzionato in maniera massiccia e lo vedremo a proposito dell’MSI in particolare.
Il secondo meccanismo – son costretto a richiarmare solo questi punti – il secondo, dicevo, è quello che conoscete molto bene e che funziona eminentemente nel sistema politico e nella scena politica e cioè quello che si può chiamare “il teorema dell’antifascismo”: cioè che se una forza politica abbraccia una causa che può essere etichettata come riconducibile al patrimonio storico del fascismo, o se viene affacciata una proposta politica che possa essere ricondotta a quel bagaglio, scatta il meccanismo preventivo dell’illegittimità. Questo è un meccanismo che ha trattenuto in maniera molto forte da sbandamenti nel sistema politico molte forze politiche; e il fatto che l’MSI fosse apertamente neofascista ma non abbia mai, salvo episodicamente, rivendicato apertis verbis… [il discorso non fila] certo in forma equivoca, ambigua, tra i denti implicitamente sì, ma in politica conta molto il fatto che si possa avanzare una proposta politica aperta e provocatoria, a tutto tondo, perché questo significa che si è conquistato un’agibilità politica e una legittimità per certi versi, se non nel sistema politico, almeno nell’opinione pubblica.
[il discorso non fila] Questo in Italia non è mai passato e questo è stato un meccanismo che, anche in maniera riflessa, ha trattenuto molte volte forze politiche come l’MSI tentato di forzare delle situazioni dal passare alla via di fatto perché questo sapeva che lo avrebbe condotto nella sfida della, non solo dell’illegittimità, ma probabilmente dell’illegalità.
[il discorso non fila] Ora venendo direttamente all’MSI… è inutile dire che tra i vari soggetti politici operanti nell’Italia degli anni ‘80, l’MSI era quello che aveva le caratteristiche storiche, culturali e ideologiche più spiccate per farsi imprenditore della protesta politica perché fa parte del suo patrimonio storico l’insistenza su valori tradizionali, nazionalistici, legge-ordine, con una certa carica anche di intolleranza nei confronti delle posizioni diverse per cui percepire il diverso un po’ come un nemico, il diverso da un punto di vista culturale o nazionale come un antagonista (non un antagonista, non un diverso in senso culturale ma un diverso da rifiutare), e poi c’è un’ostilità in genere a tutta la fronte dei cosiddetti diritti civili che per certi versi, gli dava il profilo politico culturale per diventare imprenditore della protesta antiimmigrati. Poteva essere la sua grande occasione, dal punto di vista di un suo rilancio politico.
E in effetti questa è stata la tentazione che è stata coltivata a lungo dall’MSI. Dobbiamo ricordare che negli anni ‘80 l’MSI visse una stagione di trapasso. Detto in due parole, fu il momento in cui si passò da una condizione non solo di emarginazione ma di aperta delegittimazione ad un lento ma continuo processo di reintegrazione e di rilegittimazione. Ci sono una serie di atti che ricorda benissimo chi ha vissuto la politica di allora: dalla accettazione dell’invito alla consultazione per la formazione del governo, alla partecipazione alla consultazione per il presidente incaricato, tutti atti simbolici che non tolgono la sua marginalità politica ma edulcorano la sua estraneità e la sua illegittimità. Per giungere al funerale di Almirante in cui vi fu un vero e proprio riconoscimento del suo profilo di avversario politico e non di reietto della politica. Vi ricordo che negli anni ‘60 alle prime tribune politiche, nessun partito dell’arco costituzionale accettava di sedersi attorno al tavolo con loro. Quindi non c’era nemmeno il confronto politico, per quanto tra avversari che non avevano nulla da condividere.
[il discorso non fila] Quindi… Era percepibile questo elemento e questo era un vantaggio sul terreno del reintegro del partito nel gioco politico ma come ogni processo ha anche i suoi costi, e cioè veniva a meno quella… contemporaneamente, nel momento in cui diminuiva la sua carica di illegittimità e quindi di diversità veniva anche meno quella risorsa politica con cui l’MSI è riuscito nel corso dei tempi a farsi vivere dal proprio popolo come un perseguitato e come tale degno di confermare attraverso la risorsa della ideologia e della diversità la sua funzione di unica presenza inimitabile e preziosa nel quadro politico.
E proprio in questo momento – una deriva che sul finire degli anni ‘80 si tocca con mano soprattutto dopo la morte di Almirante, quando il partito comincia a non conservare più quello “zoccolo duro” del 4% che era stato il suo grande ancoraggio -, non c’era stata tempesta politica che l’MSI non fosse riuscito a superare salvaguardando questo “zoccolo duro”. E invece alla fine degli anni ‘80 noi abbiamo dei campanelli d’allarme che manifestano uno sgretolamento non solo della sua ideologia, del suo quadro politico e del suo quadro dirigente.
Assistiamo, dopo la morte di Almirante, ad una vera propria guerra di corrente con tutti gli elementi di funambolismo e di trasformismo che eravamo abituati a vedere in altri partiti ma non in n un partito così antipartito come l’MSI, e così protagonista di questa polemica (da quando è nato) contro il sistema dei partiti visti come elementi di corruzione morale prima che politica e penale. Ma lasciamo perdere questo perché interessante è vedere come la stessa offensiva e la stessa etichetta, la lotta contro la partitocrazia, assumano nel tempo un significato del tutto diverso: perché all’inizio era lotta contro il sistema parlamentare e poi invece diventa lotta per rigenerare il sistema parlamentare contro la degenerazione nei partiti. Sembra un gioco di parole ma è un cambiamento di sostanza e di cultura politica.
Di fronte a questa crisi, che sembra una crisi di passaggio non facilmente riassorbibile, è ovvio che la tentazione di cavalcare la protesta antiimmigrati – come la grande opportunità che impedisca, strada facendo, di finire su un binario ma di rilanciare la corsa di un partito che aveva trovato altrove, fino allora le sue ragioni di vitalità – attraversa il partito di Almirante e poi di Fini.
Parliamo insomma della tentazione Le Pen. Nel cuore degli anni ‘80 ci sono i passaggi, i grandi successi di Le Pen, inaspettati e clamorosi in un paese che è centrale nell’equilibrio europeo… [il discorso non fila] le elezioni europee dell‘84 cui seguono una serie di atti inequivocabili di avvicinamento dell’MSI non solo al partito ma anche anche alle tematiche e alla politica xenofoba del partito. Nell’85 seguono una serie di interviste sul giornale di partito dell’MSI e c’è Le Pen al convegno a Palermo, c’è al convegno sulle destre europee a Roma nell’85 in cui si parla di esplosione demografica, in cui si parla del pericolo per l’Europa di essere sommersa da milioni di uomini, opponendo a questo la necessità di un nuovo rilancio della politica della famiglia e di un nuovo modello di sviluppo per il terzo mondo.
Vi cito solo questi due elementi per dire come la tematizzazione della protesta antiimmigrati, che avviene da parte dell’MSI, avviene non secondo i moduli propri della nuova destra europea ma in linea di continuità col patrimonio culturale del fascismo cioè riattualizzando quella che è la terza via: né socialismo né capitalismo e nemmeno colonialismo ma un impegno, una specie di Euro Africa che sarebbe la formula della fine del secolo XX che [il discorso non fila] riattualizzano la grande ambizione e la velleità del fascismo di fare dell’Italia il paese che contro ovviamente la Russia sovietica e contro le potenze plutocratiche attuava un’espansione di una civiltà che ovviamente partita da Roma aveva la sua proiezione nell’Africa ma non per colonizzarla ma per allargare questa civiltà, la civiltà dei paesi poveri, dei paesi che avevano bisogno di aiuto trovando una forma (ovviamente stiamo parlando di propaganda e di autorappresentazione di una pagina del colonialismo), che avrebbero trovato i modi di esercitarsi in Africa ma nell’ambito di una forma di solidarietà o di associazione dei paesi del terzo mondo.
Quindi «critica del modello di sviluppo tecnocratico imperialista – sono parole sempre della propaganda di quegli anni da parte dell’MSI – a favore di un nuovo modello di sviluppo che veda il terzo mondo non escluso ma integrato». [il discorso non fila] Quindi vi è un primo affacciarsi che nasce sull’onda del modello francese, o meglio della tentazione, della sirena francese perché vede una destra andare improvvisamente al 10% quando una destra storica tradizionalmente insediata in Italia non riesce a tenere le sue magre percentuali e a questo punto si comincia ad esercitare questa seduzione Le Pen, seduzione Le Pen che procede con una accelerata quasi febbrile, andamento___ ricordo che nell’87_____ ‘89 quando c’è il successo berlinese dei Republikaner, il giornale parla di grande novità e addirittura lo identifica come l’unica forza politica in una terra così difficile come quella tedesca dove c’è stato a lungo l’occupazione dei vincitori (che vengono visti ancora come vincitori dell’asse nazifascista) qui c’è qualcuno che ha il coraggio di prendere le distanze e di alzare il dito anche contro gli occupanti anglo-americani in nome di un riscatto della propria nazione.
Quindi, dicevo, questo andamento avviene sull’onda della seduzione e della tentazione di ripetere in Italia quello che è successo in Francia, secondo quel modello, ma dentro la tradizione culturale e politica del Ventennio, quindi una specie di ibridazione tra i modelli della nuova destra e il neofascismo storico. Dunque, da questo punto di vista, abbiamo un elemento di originalità.
Vengo ora rapidamente alla fine con i due passaggi decisivi: la segreteria Rauti del ‘90 e poi il ritorno della segreteria di Fini. Rauti ha l’opportunità nella sua vita di passare dalle parole ai fatti, proprio all’indomani della caduta del muro di Berlino, ma non trova di meglio che pensare di accalappiare il popolo di sinistra, smarrito dopo le vicende della caduta del comunismo, con una deriva terzomondista cercando di apparire come l’unica offerta politica moderna che rinverdendo le fortune della ricetta fascista, rilanci un ruolo della destra e dell’Italia in un quadro politico europeo e mondiale.
Naturalmente la cosa si risolve in un risultato elettorale fallimentare, perché oltre a non prendere dal popolo di sinistra perde anche il popolo di destra, che, ovviamente, più che un popolo di combattenti era un popolo di conservatori e quindi di fronte a questa ventata terzomondista resta ulteriormente smarrito.
Torna Fini, corregge la rotta a favore, diciamo così, di una ripresa ma in maniera poco convinta, cercando anzi di assumere un atteggiamento che espunga le punte di radicalità. E quindi si riappropria della protesta antiimmigrati ma non per farne la leva di una sfida antisistemica rinnovata sull’onda di questo, ma anzi per farne un rinforzo politico per una ripresa elettorale di un partito che, [il discorso non fila] ovviamente senza fare l’errore dell’anacronismo e attribuire al prima quello che è il dopo, ma che trovi per l’MSI un futuro (se futuro… futuro che molti pensano non possa esserci perché illanguidita la tradizione neofascista, scomparso il comunismo, non si capisce bene che funzione possa avere questo partito di vecchi nostalgici e anticomunisti in disarmo) in un ruolo di partito conservatore.
Siamo al passaggio del ‘94-‘95 e se voi guardate alle tesi di Fiuggi avrete, su questo tema, un ulteriore edulcoramento delle proposte politiche con ovviamente ancora l’equazione clandestino=delinquente ma con la distinzione immigrato-clandestino e via via.
Io qui non posso documentare queste tesi per ragioni di tempo (come l’utilizzo sempre più della protesta antiimmigrati come una risorsa politica da valorizzare nel gioco parlamentare, in particolare contro il governo dell’Ulivo; i temi della delinquenza, i temi del disordine, ma non più facendo diventare la protesta antiimmigrati come la questione centrale dell’agenda politica).
Quello che però voglio sottolineare in conclusione è che anche questa seduzione, che sembra rientrata da parte dell’MSI, viene vissuta sia nella stagione terzomondista sia nella stagione, diciamo così, da nuova destra occidentale (e cioè di segno esattamente contrario), sempre con una ibridazione della vecchia cultura fascista che resta l’alveo dentro il quale poi si hanno le acclimatazioni delle altre proposte politiche; cioè senza mai consumare, da questo punto di vista, una vera e propria rottura con la cultura politica tradizionale.

documentazione
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