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_ Sulla pratica della Disobbedienza //01

Testo della relazione finale su disobbedienza e movimento globale al seminario nazionale "Controimpero" del 23-24/02 all'Istituto Universitario d'Architettura di Venezia.
Quello che segue è il testo, un po' "raffinato" e corredato di qualche nota, della relazione tenuta al seminario veneziano "Controimpero", all'Istituto Universitario di Architettura - Aula magna dei Tolentini, il 23 e 24 dello scroso febbraio. E' una "messa in circolazione" per conoscenza, come si dice, degli amici e dei meno amici, ma comunque compagni.
Con due intenti principali:
a) offrire un contributo alla maggiore chiarezza (ehm ehm) sul dibattito della/nella/sulla disobbedienza - anche per chi la avversa fieramente, of course;
b) rispondere concretamente, per mio conto, alle polemiche sul "copyright" applicato ai testi in audio delle relazioni a quel seminario (Bascetta, Bettin, Bronzini, Caccia, De Giorgi, Del Bello, Lazzarato, Martelloni, Mezzadra, Negri, Revel, buon ultimo il sottoscritto) già disponibili su sherwood.it. En tout cas, il complesso dei materiali del seminario sarà raccolto in un volume della manifestolibri, in uscita per giugno 2002.
grazie,
Anubi D'Avossa Lussurgiu


Sulla pratica della Disobbedienza

Parlare della disobbedienza in rapporto al movimento globale è parlare del valore e della qualità attuali della disobbedienza, al di là delle filologie - trattate in parte da Federico Martelloni. E significa parlarne in rapporto allo stato presente delle cose: che valore ha la disobbedienza, che qualità esprime la disobbedienza in rapporto alla stato presente delle cose e in rapporto ai soggetti. Dunque, per un verso in rapporto all'ordine e per l'altro in rapporto alla 'moltitudine'. In rapporto all'ordine, indagare sul valore di un agire disobbediente (la qualità delle disobbedienze) significa indagare sulla modalità, sul come si produce disobbedienza. Da questo punto di vista, parliamo di una disobbedienza che si esercita insieme contro disciplina e controllo: perciò non distintamente, ossia in un tempo storico passato rispetto agli ordinamenti disciplinari e nel tempo storico presente rispetto agli ordinamenti del controllo. La disobbedienza, d'altronde, ha immediatamente e permanentemente a che fare con una ribellione rispetto alla disciplina (lo dimostra la centralità della nuova guerra nel dispiegamento della disobbedienza e del suo consenso (1)). E dunque oggi è appunto, nello stesso tempo, disobbedienza alla disciplina e disobbedienza al controllo: perché questi livelli, come ci insegnò Foucault, non sono prodotti in sequenza semplice, lungo un tempo storico lineare, ma si sovrappongono e s' intrecciano nelle pratiche e nelle relazioni di potere (2) - e dunque fino ai poteri che diciamo imperiali, fino all'ordine o al tentativo di costituzione di un ordine imperiale dei poteri.

In questa luce la disobbedienza è quel passaggio dalle resistenze nei confronti dei dispositivi di disciplina e di controllo, insomma dalle resistenze puntuali rispetto agli attacchi che vengono portati dall'ordine contro il soggetto - sia esso la singolarità produttiva o complessivamente la moltitudine delle singolarità, dei soggetti del lavoro vivo e della produzione della ricchezza del mondo - , ad una resistenza capace di produrre attacco contro l'ordine stesso che la costituisce: capace quindi di mettere in discussione disciplina e controllo, di rifiutarne la vigenza. La disobbedienza che noi abbiamo agito dentro il movimento globale non è stata che la sottolineatura di una modalità costitutiva di questo stesso movimento globale. Che cos'è il movimento globale se non l'incontro di queste resistenze in faccia all'ordine stesso che le costituisce? Perché, infatti, il movimento diventa globale, perché assume una qualità globale' Perché il suo obiettivo, il suo oggetto di contestazione e di lotta diventa l'ordine (3) che produce le singole politiche, i singoli interventi disciplinari, i singoli dispositivi del controllo, attraverso i quali si esercitano i poteri imperiali e contro i quali le resistenze sono dislocate.

Dunque disobbediente è, in realtà, il movimento globale (e in seguito torneremo sul perché, allora, ci sarebbe necessità di chiamarsi 'movimento' o 'laboratorio' dei disobbedienti).
Per inciso: questa qualità 'disobbediente', cioè derivata dall'incontro delle resistenze su un piano di attacco all'ordine medesimo che le produce, è la ragione che non consente di racchiudere in una rappresentazione unica e formale il movimento globale. I Social Forum sono anche momenti attraversati dalla decisione comune, momenti di assemblaggio utili alla moltitudine. Ma non sono la formula con cui coincide il movimento globale. Il movimento globale è e resta questo fenomeno delle resistenze e dell'esercizio delle soggettività.
Dunque, cosa diventa, la disobbedienza, nel momento in cui rappresenta il passaggio dalla resistenza ad un punto di attacco ricevuto da un ordine, alla resistenza e all'attacco a quest'ordine' E che cosa produce' Produce una posizione del comune: è già momento in cui si posiziona un comune, e il comune in questione è esattamente questo incontro, questa organizzazione degli incontri/resistenze (4).
Questo ci porta al rapporto coi soggetti e quindi con quella che conveniamo nel definire come moltitudine. Ossia: chi produce disobbedienza. Chi produce disobbedienza se non il lavoro vivo in un quadro di sussunzione reale' E' esattamente così che si producono le resistenze ed è esattamente questo ciò che producono. A che cosa si resiste, infatti, quando si resiste agli interventi disciplinari, ai dispositivi del controllo e dell'ordine imperiali' Si resiste al tentativo continuo, da parte del dominio capitalistico, di battere la potenza del lavoro vivo, la sua capacità di riappropriazione, nel momento in cui ne deduce tutta la produttività e l' intera produzione di valore: così come accade all'estremo del processo di sussunzione reale, laddove lavoro vivo diviene l'intera cooperazione sociale e questa diventa la fonte stessa del valore (5).

Allora, chi produce disobbedienza è questa cooperazione sociale: cioè gli elementi, i soggetti di questa cooperazione sociale - e la moltitudine, il nuovo proletariato che compongono - nel momento in cui subiscono le pratiche di separazione imposte dal capitale al lavoro vivo e alla cooperazione sociale medesima.
Come Negri e Hardt scrivono ne 'L'impero', fin dalla sua origine l'impero stesso, inteso come processo di affermazione di nuovi dispositivi e nuova organizzazione delle relazioni di potere con cui si esercita quel dominio, è corruzione. E' corruzione della moltitudine (6). Le resistenze si oppongono a queste procedure di corruzione e separazione, a queste procedure di indeterminazione della soggettività del lavoro vivo e delle stesse singolarità soggettive. Poiché tali procedure sono continue e l'ordine imperiale mantiene una natura processuale aperta, in questa lotta noi non possiamo immaginare né le resistenze e nemmeno la disobbedienza (l'organizzazione dei loro incontri e il loro passaggio a una resistenza capace di attacco all'ordine), come qualcosa di 'dato' una volta per tutte.

Nel momento in cui si esercita la disobbedienza essa, dicevamo, produce una decisione del comune. Ma su questa decisione del comune, così come accade fin dall'origine (nel senso produttivo) alla cooperazione sociale, scorre continuamente la procedura di attacco del dominio. Dobbiamo tener ben presente questa cosa: non c'è un movimento, che sia globale, che sia dato una volta per tutte. Non c'è una politica del movimento globale che sia data una volta per tutte; e non c'è una capacità di produzione d'autogoverno, da parte del movimento globale, che sia data una volta per tutte. Non c'è una capacità di rappresentazione della moltitudine che sia data una volta per tutte.

Questo ci porta a echeggiare un'affermazione più importante: la moltitudine stessa non è data una volta per tutte.
Allora cos'è la disobbedienza' E' un momento della produzione di moltitudine. Quando noi disobbediamo, ci produciamo come moltitudine, perché le procedure del controllo e del dominio che scorrono continuamente sulla cooperazione sociale, sulla moltitudine per revocarne la potenza (7), che cosa fanno se non (tentare di e riuscire a) far recedere la moltitudine allo stadio della molteplicità (come sosteneva Bascetta analizzando l'agire produttivo della moltitudine e i suoi statuti così come imposti dal dominio - la separazione tra proprietari e non proprietari, che esiste all'interno della moltitudine.
E' una questione che poneva Hardt in un libro che precede 'Impero', 'Deleuze, un apprendistato in filosofia': l'oggetto centrale della costituzione di una politica democratica continua a essere lo sforzo di passaggio dalla molteplicità alla moltitudine. Moltitudine non è semplicemente molteplicità che si mantiene e preserva: moltitudine è un' aggiunta di potenza al molteplice.
Questa 'aggiunta di potenza', per tornare alla fonte spinoziana che viene utilizzata spesso in questa ricerca e calata in un'analisi materialista dell'agire produttivo e del processo di produzione del valore, in Spinoza è l'arte di organizzare gli incontri: dunque è un'arte, dunque è un passaggio creativo. Appunto: la moltitudine si produce e la moltitudine, in Spinoza stesso, ha un carattere contingente.
D'altra parte, qual è l'espressione di potenza della moltitudine in ordine alla decisione politica' E' la potenza di una nuova costituzione civile, basata sulla coestensività dei diritti alla potenza della moltitudine, cioè sulla corrispondenza di quell'estensione dei diritti a quella potenza della moltitudine (8).
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