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Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov



Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(ed. bandiera rossa 1965)
DAI PROCESSI DI MOSCA ALLA CADUTA DI KRUSCIOV
Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(edizioni bandiera rossa- Roma 1965)


PREFAZIONE

Per oltre un trentennio Trotskij e il movimento trotskista hanno avuto un posto d'onore come miti negativi. Le prime lotte ai tempi della malattia di Lenin e immediatamente dopo la sua morte già si erano svolte sotto il segno di una difesa del bolscevismo contro il trotskismo che ne sarebbe stato la costante negazione. Nel decennio successivo, culminato nei processi del '36-38, Trotskij era apparso come il nemico numero uno e i trotskisti erano stati regolarmente presentati come i responsabili diretti o gli ispiratori delle azioni più abominevoli. Nella guerra di Spagna aveva pure fatto la sua comparsa questa moderna incarnazione del Maligno, le cui gesta non erano cessate neppure durante la guerra « patriottica e antifascista » («trotskisti» erano, ad esempio, i partigiani greci che lottavano contro le repressioni degli «Alleati» e trotsko-fascisti i militanti indiani del grande movimento di massa del '42). Tra il '48 e il '51 manipoli di questi criminali erano di nuovo trascinati nelle aule giudiziarie - a Budapest, a Praga, a Sofia, a Varsavia -, accompagnati questa volta da una sottospecie « titista » di origine recente. E anche ora, malgrado tutto quello che è accaduto e tutto quello che è stato detto nell'ultimo decennio, nella polemica tra Pechino e Mosca rimbalza la reciproca accusa di trotskismo, all'occorrenza assortita di probanti citazioni risoluzioni e articoli della IV Internazionale. (1)

Sono in primo luogo coloro che non condividono le concezioni del trotskismo che dovrebbero chiedersi perché sia avvenuto tutto questo. Si tratta unicamente di aberrazioni polemiche oppure di un singolare abbaglio? Perché si continua a lanciare strali, a volte sotto forma di colonne di piombo di quotidiani sovietici e cinesi, contro un movimento dichiarato fuori combattimento quarant'anni or sono, liquidato e riliquidato a più riprese e sempre considerato del tutto privo di influenza?

La realtà è che, nonostante i limiti, tuttora non superati, delle sue forze organizzate, il movimento trotskista costituisce per la burocrazia un pericolo gravissimo. Con le analisi di Trotskij e con gli arricchimenti successivi esso ha fornito infatti l'unica critica di fondo della burocrazia, mettendone a nudo la natura, il carattere antiproletario e antisocialista e le intrinseche contraddizioni. Facendo proprie esigenze che corrispondono oggettivamente alle esigenze delle masse oppresse dalla burocrazia e spinte a lottare contro di essa, ha presentito un'organica alternativa al potere burocratico. Di qui dunque le condanne, le persecuzioni, le scomuniche che, dietro parvenze spesso irrazionali, nascondono un reale contenuto, naturalmente dal punto di vista della difesa degli interessi burocratici. (2)

Scopo del volume che presentiamo è di fornire una documentazione che aiuti a conoscere e a comprendere una delle tendenze fondamentali del movimento operaio contemporaneo, una tendenza sviluppatasi lungo l'arco di circa un quarantennio e la cui attualità è riconosciuta di fatto dalle ininterrotte polemiche dei suoi avversari e detrattori. Va da sé che uno studio del genere non può che prendere le mosse dall'opera di Trotskij. Quest'opera, tuttavia, è ormai abbastanza accessibile anche in Italia e superfluo sarebbe il ripubblicare testi già editi dal '56 a oggi. Presentiamo, dunque, oltre a una pagina de La rivoluzione tradita che sarà utile per il lettore avere direttamente sottomano, un capitolo de I crimini di Stalin, testo trotskiano sinora inedito in Italia, e il capitolo sull'URSS e sullo stalinismo de Il programma di transizione, redatto dallo stesso Trotskij per il congresso costitutivo della IV Internazionale (anche questo inedito in italiano). Tutti gli altri testi del volume sono frutto dell'elaborazione successiva - dal 1948 al 1964 - della IV Internazionale, che con i suoi contributi politici e teorici e con la sua ininterrotta attività ha saputo dimostrare di non essere affatto una setta ossificata di adoratori di un leader prestigioso, ma un'organizzazione viva composta in grande maggioranza, in quasi tutti i paesi in cui è presente, da giovani militanti che hanno vissuto e meditato le esperienze più significative del movimento operaio contemporaneo e, lungi dall'essere ipnotizzati da uno studio esclusivo del passato, avvertono soprattutto l'esigenza di dare una risposta ai problemi attuali.

Una lettura delle più significative opere di Trotskij e dei documenti che presentiamo consentirà di comprendere quali siano i criteri interpretativi, le generalizzazioni e le indicazioni di prospettiva cui il movimento trotskista si è ispirato e si ispira.
Come si è accennato, il punto di partenza è la comprensione del fenomeno della burocratizzazione dell'URSS, fenomeno storicamente originale prodottosi in una fase di transizione tra il capitalismo e il socialismo. C'è appena bisogno di ricordare che la nozione trotskiana di burocrazia non ha nulla a che vedere con la nozione volgare corrente - che ovviamente si riferisce a tutt'altra cosa - né può essere posta astrattamente in relazione al fenomeno, largamente denunciato dai teorici più conseguenti della democrazia, del distacco tra chi delega il potere e chi riceve questa delega. Quest'ultimo fenomeno è certo presente, diremmo più che mai presente, nell'involuzione staliniana, ma si inserisce in un contesto storico specifico che lo determina e ne precisa il contenuto: ed è appunto questo contesto e le sue intrinseche tendenze che Trotskij coglie nella sua analisi.

Denunciando la degenerazione dello Stato operaio russo, Trotskij e la IV Internazionale hanno sottolineato contemporaneamente la precarietà e provvisorietà storica del dominio della burocrazia. E' estremamente indicativo - non tanto della lungimiranza di un uomo o di un gruppo politico quanto della validità di un metodo e della genuinità di una collocazione - il fatto che, mentre per un periodo ventennale la totalità dei partiti comunisti inneggiava a Stalin e allo stalinismo, identificandoli senz'altro con il socialismo e il comunismo e raffigurandosi il futuro come una specie di marcia trionfale con cui il sistema vigente nell'URSS si sarebbe generalizzato in tutto il mondo, mentre molti di coloro che respingevano per varie ragioni lo stalinismo erano angosciati dal timore di una universale dominazione staliniana, il movimento trotskista abbia pertinentemente individuato l'intrinseca debolezza dietro l'apparente strapotenza, la profonda differenziazione dietro il conclamato monolitismo, il maturare di forze centrifughe incomprimibili dietro la parvenza di un dilagare inesorabile. E, come abbiamo già avuto occasione di sottolineare in altre occasioni, significativo è che talune delle parole d'ordine principali formulate ne La rivoluzione tradita e ne Il programma di transizione per un movimento rivoluzionario antiburocratico delle masse - mirante all'instaurazione di un regime proletario democratico - fossero riprese, sotto lo stimolo delle condizioni oggettive, da larghi settori di quadri e di militanti nel giugno del '53 a Berlino, nell'ottobre polacco e durante i drammatici fatti di Ungheria (3). Ci vollero il XX congresso e il rapporto Krusciov perché molti cominciassero a comprendere o ad ammettere l'involuzione staliniana e la fondatezza delle penetranti critiche e delle appassionate denuncie di Leone Trotskij.

Nel dopoguerra il movimento trotskista ha naturalmente proceduto a un riesame della situazione: fenomeni nuovi e in una certa misura imprevisti esigevano una interpretazione conseguente. Come appare anche da accenni autocritici di documenti riportati nel volume, in questo lavoro di analisi e di generalizzazione ci sono stati ritardi anche gravi, errori a volte con serie implicazioni. Tuttavia il significato fondamentale degli avvenimenti e le tendenze più caratteristiche sono stati colti, e di norma con anticipo notevole rispetto ai grandi partiti tradizionali o a vari gruppi ristretti di avanguardia. Così, se indubbiamente la portata rivoluzionaria degli avvenimenti jugoslavi tra il '43 e il '45 fu compresa solo qualche anno più tardi, resta che la IV Internazionale ha messo a punto la sua analisi del passato e soprattutto ha fornito tempestivamente l'interpretazione della rottura del giugno '48 in un periodo in cui gli apparati della burocrazia sovietica e dei partiti comunisti inondavano il mondo di carta stampata nell'intento di convincere che in Jugoslavia era stato restaurato il capitalismo, addirittura sotto forme fasciste, e gli stessi jugoslavi continuavano per un certo tempo a difendersi in nome dell'ortodossia staliniana più rigorosa. Così, se si è esitato troppo nell'individuare il significato degli sviluppi in Cina a partire dal '46 (4), successivamente l'analisi della rivoluzione è stata condotta con una organica comprensione di tutti i suoi aspetti, ponendo, tra l'altro, il problema di un conflitto tra Pechino e Mosca già nel '50-51, quando ciò poteva sembrare pura fantasia o provocatoria aberrazione.
Così proprio nella fase in cui il sistema staliniano sembrava aver raggiunto il massimo di solidità interna e di espansione internazionale, il movimento trotskista, con voce pressoché isolata, segnalava le intrinseche forze centrifughe che ne avrebbero provocato la disgregazione.

Venendo a un periodo più prossimo, alcuni dei testi riportati autorizzano ad affermare - senza con ciò indulgere all'apologetica - che la IV Internazionale comprese subito e a fondo le conseguenze della morte di Stalin e la dinamica del nuovo periodo che si apriva. L'editoriale di Quatrième Internationale dell'aprile 1953 e il documento che lo segue sono in proposito eloquenti: non solo vengono colte le profonde tendenze eversive del sistema staliniano che avevano cominciato ad operare, ma si indicano esplicitamente quali ripercussioni ciò avrebbe avuto nei partiti comunisti, destinati a subire profonde trasformazioni- E' il caso di ricordare ancora una volta che pronostici del genere sembravano fantastici non solo ai più direttamente interessati - peraltro ancora immersi nel sonno dogmatico e preoccupati di difendere la compattezza del loro sistema ultraburocratico -, ma anche a elementi critici non pregiudizialmente avversi alle posizioni del trotskismo.

Più in generale, si poneva, soprattutto a partire dal '56, il problema della comprensione della nuova fase apertasi nell'URSS: la destalinizzazione avrebbe forse potuto portare, più o meno rapidamente, al rovesciamento del dominio burocratico e alla instaurazione di un regime di democrazia socialista sulla base di un semplice movimento evolutivo, in virtù di un'azione di autoriforma della burocrazia? Di contro a tendenze che volevano ignorare gli sconvolgimenti della realtà sovietica e del movimento comunista e continuare ad applicare meccanicamente etichette e formule tradizionali, si sviluppavano tendenze del tutto opposte, secondo cui la burocrazia era stata colpita a morte e il processo di autoriforma avrebbe trionfato senza bisogno di un intervento rivoluzionario delle masse. In tutta una serie di documenti redatti tra il '54 e il '63 la IV internazionale respingeva entrambe queste tendenze, come respingerà ovviamente le persistenti interpretazioni propagandistico-apologetiche diffuse dalla burocrazia e dalle direzioni dei vari partiti comunisti. In realtà, nell'URSS e negli altri Stati operai la burocrazia conservava la propria egemonia: solo doveva valersi ormai di formule diverse e doveva ristrutturare profondamente il suo sistema (liberando oggettivamente energie a lungo compresse e che ormai le sarebbe riuscito difficile regolare a piacimento). All'autoritarismo feroce e al tetragono monolitismo staliniano seguiva il paternalismo riformistico di Krusciov.

Di qui l'esigenza di una precisazione che ha riflessi sullo stesso piano terminologico. Se per stalinismo si vuole intendere il fenomeno di degenerazione burocratica di uno Stato operaio in generale, è chiaro allora che lo stalinismo non è affatto scomparso e l'URSS deve essere considerata tuttora staliniana. Se, invece, per stalinismo si intende una particolare forma di dominazione burocratica, storicamente definitasi nel modo che sappiamo, allora lo stalinismo è in larga misura superato. La seconda interpretazione ci sembra più consigliabile in quanto più idonea non solo a evitare confusioni nelle polemiche correnti, ma anche e soprattutto a precisare l'idea della possibilità di varie forme di dominazione burocratica e in primo luogo di un tipo come quello che si è venuto delineando nell'URSS dopo il '53.

E' probabile che i documenti che pubblichiamo si imbatteranno in critici severi, che vorranno mettere in risalto vari punti deboli, certe analisi non sufficientemente sviluppate e, soprattutto, certe prospettive non realizzatesi. Già dal '56 abbiamo peraltro assistito allo spettacolo di gente che prima aveva creduto - o finto di credere - alle fandonie staliniane e giurato, per esempio, sulla Storia del PC (b) di staliniana ispirazione e poi, divenuta incontentabile, storceva il naso dinnanzi a tutto, non ritenendo mai soddisfatta la propria inestinguibile sete di « approfondimento ».
Che il movimento trotskista - che peraltro è un movimento politico che deve elaborare a certe scadenze e con obiettivi di azione e non una cerchia di sociologhi o di storici dedicata unicamente alla ricerca - abbia commesso degli errori risulta chiaramente dagli stessi documenti di questo volume (ci limitiamo qui agli errori commessi in sede di analisi e di generalizzazione, lasciando da parte quelli che pure ci sono stati sul terreno tattico e strategico).

Si è già accennato ai veri ritardi nell'interpretazione della rivoluzione cinese e della stessa rivoluzione jugoslava: si potrebbero aggiungere, per fare qualche altro esempio, certe valutazioni circa la possibilità di sviluppo dell'economia sovietica contenute nel documento del congresso del '48 e certi pronostici circa i ritmi e le forme in cui si sarebbe manifestata la tendenza dell'imperialismo verso un nuovo conflitto mondiale.
Senza sottovalutare tutto questo, vogliamo tuttavia rilevare, in primo luogo, che spesso si è trattato di errori nella valutazione dei ritmi e delle scadenze; ed è sin troppo noto che errori del genere - nella misura in cui si può parlare di «errori» in senso rigoroso - sono stati costantemente commessi nella storia del movimento operaio, anche dalle avanguardie più conseguenti; anche dai politici e dai teorici più geniali (né Marx, né Engels, né Lenin hanno costituito un'eccezione su questo piano). Altre volte le prospettive non si concretizzavano in questo o quell'aspetto o se le tendenze non si sviluppavano nelle forme ipotizzate, tuttavia era colta la sostanza di un fenomeno e prospettive-ipotesi di lavoro apparivano quindi del tutto giustificate.

E valga qualche esempio. Si rilegga il capitolo conclusivo de I crimini di Stalin. E' anche troppo facile constatare ora che Trotskij anticipava i tempi e avanzava ipotesi che non dovevano realizzarsi nella forma specificamente prospettata. Ma l'intrinseca debolezza dell'egemonia di Stalin, le interne contraddizioni, le tendenze centrifughe sono individuate lucidamente, come lucidamente sono indicate la prospettiva degli sconvolgimenti giganteschi di un'epoca che sarebbe stata di guerre e di rivoluzioni e la dinamici di superamento dello stalinismo (5). Si considerino, poi, certe analisi degli avvenimenti in Cina. Indubbiamente è stato un errore giudicare più sulla base di elementi parziali e di certe teorizzazioni che sulla base delle profonde tendenze effettive e non aver compreso subito che l'evoluzione dei rapporti di forza in Cina e nel mondo era tale da rendere possibile, in pratica sotto la pressione delle masse, un'evoluzione del PC verso una politica diversa da quella che teorizzava: o, ancora, aver collegato troppo rigidamente le prospettive di un ulteriore sviluppo della rivoluzione alla prospettiva di una guerra mondiale. Ma tutta una serie di elementi (per esempio, la politica di freno della riforma agraria, gli orientamenti nelle città al momento della liberazione ecc.) non erano affatto irrilevanti e i comunisti cinesi avevano effettivamente elaborato una prospettiva irrealistica che in pratica essi stessi furono costretti a rettificare o a capovolgere. Dal punto di vista teorico-politico generale, i trotskisti avevano ragione nel confutare la tesi di un'impossihile fase intermedia e di sostenere che, se fosse stata messa in pratica, la concezione della «nuova democrazia » avrebbe costituito un prolungamento, sia pure in nuove forme, del regime capitalistico-borghese. E se determinati sviluppi ci sono stati anche senza il precipitare di un conflitto mondiale, alla base hanno operato gli stessi stimoli obiettivi che effettivamente si erano indicati. Infine, le prospettive circa le scadenze di una terza guerra mondiale sono apparse viziate dalla sottovalutazione di alcuni fattori e dalla mancata intuizione del possibile insorgere di alcuni altri. Ma del tutto giustificata e tempestiva si è rivelata la valutazione del decisivo mutamento dei rapporti di forza su scala internazionale dalla fine degli anni '40, mutamento che avrebbe spinto l'imperialìsmo ad agire, anche con la guerra, prima che fosse troppo tardi e che, comunque, implicava elementi quanto mai esplosivi. Non a caso, se la guerra non è scoppiata, si è tuttavia giunti a più riprese sull'orlo dell'abisso.

Infine, vorremmo ricordare a eventuali critici che una reale valutazione storica potrà essere stabilita non solo e non tanto sulla base di una verifica di prospettive più o meno realizzate, quanto sulla base di un confronto tra le interpretazioni e le posizioni via via avanzate dal movimento trotskista e quelle avanzate negli stessi periodi da altri settori del movimento operaio, in primo luogo dei partiti comunisti. Un tale parallelo ristabilirebbe immediatamente le giuste proporzioni.

Del resto, un omaggio involontario la IV Internazionale lo ha ricevuto per il fatto che a più riprese sono divenuti oggetto di discussione generale nel movimento comunista problemi in precedenza affrontati solo da una piccola avanguardia - ritenuta immersa in diatribe sul sesso degli angeli - e che espressioni come «stalinismo», «stalinista», «involuzione burocratica » ecc. Sono divenute ormai di uso comune. Anche su questo non sarà inutile riflettere prima di esprimere una valutazione complessiva.

LIVIO MAITAN



(1) Cfr., tra l'altro, un articolo comparso nell'estate del '63 in Literaturnaia Gazeta, un lungo articolo comparso qualche tempo dopo sulle Izvestia, la lunga risposta del Kommunist a un lettore che aveva chiesto informazioni, certi passi e citazioni del rapporto Suslov e per parte cinese i numerosi passi polemici comparsi a più riprese nei documenti di risposta ai Sovietici, pubblicati su Bandiera Rossa e sul Quotidiano del Popolo.

(2) Cfr. in proposito alcune significative pagine de Les crimes de Staline, Paris, Crassei, 1937, pp. 330-334.

(3) Da notare che il programma di transizione aveva previsto correttamente che «la disgregazione del Komintern, che non ha appoggio diretto dalla Ghepeù, precederà la caduta della cricca bonapartista e di tutta la burocrazia termidoriana in generale».

(4) Su questo vedi più avanti e la nota introduttiva al documento La terza rivoluzione cinese.

(5) Sottolineiamo anche il paragrafo finale, le cui previsioni in parte si sono già realizzate e in parte, è chiaro ormai a tutti, certamente si realizzeranno, quale ne sia la scadenza precisa.