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Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov
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Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(ed. bandiera rossa 1965)
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Parte quarta
L'Urss dopo la morte di Stalin
(1953- 1957)
L'ASCESA RIVOLUZIONARIA NELL'URSS
L'articolo che segue è stato scritto poco dopo la morte di Stalin ed è stato pubblicato come editoriale del numero dell'aprile 1953 della rivista Quatrième Internationale. Indipendentemente da certe valutazioni, in particolare sulle tendenze della situazione mondiale, l'articolo coglie già le implicazioni della scomparsa del massimo esponente della burocrazia, sottolineando esplicitamente che una fase nuova si era aperta per l'URSS e per il movimento comunista internazionale. Tutti questi argomenti venivano ripresi e ampliati in testi che pubblichiamo più avanti.
Gli avvenimenti che si stanno verificando dopo la morte di Stalin dimostrano già chiaramente a qual punto il dinamismo del periodo rivoluzionario nel quale viviamo aperto dalla seconda guerra mondiale imperialista sconvolga i vecchi equilibri e spinga irresistibilmente la rivoluzione socialista mondiale a livelli più alti. Questo processo fondamentale rivoluzionario, progressivo, non è né semplice né rettilineo, ma comporta delle svolte, una struttura complicata, elementi contraddittori. Esige una analisi concreta della situazione mondiale in movimento, una grande capacità di comprensione e di costante adeguamento da parte della direzione rivoluzionaria del movimento operaio internazionale.
L'improvvisa morte di Stalin è avvenuta in un momento caratterizzato dalla minaccia di crisi economica nel mondo capitalista, dall'acceleramento dei piani di guerra dell'imperialismo, in particolare quello americano, contro la Corea, la Cina, il Vietnam e la Rivoluzione coloniale asiatica in generale, e della nuova ascesa rivoluzionaria in URSS, di cui abbiamo potuto indirettamente rilevare alcuni sintomi dai lavori e dai risultati del XIX Congresso del PCUS svoltosi nell'ottobre scorso.
La scomparsa del Bonaparte per eccellenza della burocrazia sovietica, in una tale situazione interna e internazionale, lasciava facilmente prevedere che una nuova fase era ormai aperta per l'URSS e lo stalinismo; che Stalin non avrebbe avuto un successore che esercitasse le sue funzioni con la stessa autorità e con i medesimi risultati; che da questo punto di vista la sua perdita era irreparabile per la burocrazia sovietica e avrebbe inciso profondamente sul suo equilibrio.
La pioggia di decisioni prese da allora è andata ben al di là di ogni previsione fatta in questo senso. Queste decisioni dimostrano l'enorme malcontento delle masse sovietiche che pesa sull'équipe dei nuovi dirigenti, catalizzato di colpo dalla scomparsa dell'uomo che aveva incarnato ai loro occhi il regime poliziesco e burocratico instaurato nell'URSS al posto della democrazia proletaria preconizzata dalla Rivoluzione d'Ottobre e da Lenin.
Le parole « panico » e « smarrimento » che figuravano nel primo comunicato che annunciava alle masse sovietiche la morte di Stalin assumono ora un senso ben preciso. I nuovi dirigenti dell'URSS si trovavano nella posizione migliore per conoscere le vere aspirazioni e i sentimenti delle masse sovietiche, e sapevano che esisteva nell'URSS un enorme malcontento, un profondo desiderio di masse sempre più larghe di vedere, sulla base dei grandi progressi economici e culturali compiuti, il regime liberalizzarsi, la polizia allentare la sua intollerabile pressione, la democrazia sovietica rinascere dalle ceneri.
Già al tempo del XIX Congresso del PCUS, questi dirigenti, coscienti del reale stato di cose, avevano voluto in qualche modo riprendere in mano la situazione. Ma quando Stalin è scomparso, gli uomini chiamati a succedergli così all'improvviso sono stati subito coscienti del pericolo di trovarsi rapidamente scavalcati dalle masse scontente, incoraggiate, stimolate dalla scomparsa di colui che incarnava il regime di oppressione, se non avessero proceduto a concessioni e riforme rapide e importanti.
Di qui la serie di misure senz'altro di portata fondamentale per l'evoluzione futura dell'URSS, della burocrazia sovietica e dello stalinismo: una amnistia che comprende un numero considerevole di persone detenute nei campi di concentramento; la promessa di revisione del codice penale attualmente in vigore in URSS; una nuova e importante diminuzione dei prezzi, dal 5 al 50%, la sesta dal 1947: la sensazionale ritirata nell'« affare dei medici », riabilitati mentre per la prima volta nella storia dello stalinismo venivano denunciati il carattere fraudolento, criminale e «inammissibile» dei metodi usati dalla polizia e dal sistema giudiziario e la discriminazione razziale; l'arresto di alti funzionari di polizia; la messa all'indice di S. Ignatiev, uno dei cinque segretari del CC del PCUS nominati recentemente, allontanato dalle sue cariche di Stato e di partito; un nuovo atteggiamento in materia di politica estera; e infine la tendenza a mettere in ombra il culto del capo.
E' evidente il tentativo dei nuovi dirigenti di fondare il loro regime su una base popolare più vasta e di dare indirettamente l'impressione che nell'URSS si è ormai aperta un'epoca nuova, che pone termine ai metodi e ai mezzi usati nell'epoca staliniana. Il fatto che si siano visti costretti ad agire così, con il rischio certo di seminare qualcosa di più che il dubbio su tutti i processi anteriori, su tutte le «confessioni», su tutti i crimini di Stalin nell'URSS e nelle «democrazie popolari», e di dare così un possente impulso alle rivendicazioni democratiche delle masse sovietiche, dimostra che agiscono sotto una pressione delle masse sovietiche mai sospettata fino ad ora. Questa enorme pressione è il risultato sia dell'evoluzione economica e culturale progressiva dell'URSS che dell'ascesa internazionale della Rivoluzione che sta facendo irruzione nell'URSS e si fonde con le forze rivoluzionarie del paese.
Le concessioni che i nuovi dirigenti dell'URSS sono ora costretti a fare si inseriscono in questa dinamica della Rivoluzione mondiale in ascesa. Non sono che un inizio, e soltanto un inizio. I burocrati dirigenti si sforzeranno di limitarle, di annullarle ed anche di ritornare indietro, ma tutta la situazione internazionale e interna dell'URSS, cui si aggiunge come importante fattore la scomparsa di Stalin, evolve nel senso opposto.
Le ripercussioni degli avvenimenti dell'URSS sui paesi satelliti, sulla Cina e sui partiti comunisti saranno indiscutibilmente enormi, rivoluzionarie, e accelereranno dappertutto le tendenze all'indipendenza rispetto allo stretto controllo esercitato un tempo dal Kremlino, e così anche le differenziazioni e un clima critico a detrimento del monolitismo.
Una grandissima attenzione deve essere rivolta a ciò che accadrà nei mesi prossimi nei paesi, nei partiti e nei movimenti fino ad ora sotto l'influenza staliniana.
Il nuovo atteggiamento adottato in politica estera sia dai dirigenti sovietici sia da quelli cinesi è almeno in parte determinato dagli avvenimenti nell'URSS. Le concessioni fatte in Corea, all'ONU e l'atteggiamento conciliante, che vuole evitare di offrire pretesti formali supplementari all'aggressività dell'imperialismo, non sono senza rapporto con la delicata situazione in cui si trovano attualmente i nuovi dirigenti dell'URSS alle prese con le loro masse. Essi si sforzano di attenuare la pressione dell'imperialismo nello stesso momento in cui procedono ad importanti concessioni alle masse sovietiche.
Tuttavia sarebbe sbagliato concludere che è per debolezza che l'URSS procede a concessioni all'imperialismo, o che ci troviamo alla vigilia di un compromesso generale e durevole con quest'ultimo. A prima vista, le concessioni fatte fino ad ora dalla diplomazia sovietica e cinese hanno più carattere formale che sostanziale, e il loro effetto globale sull'avversario è più offensivo che difensivo.
Queste concessioni disorganizzano per ora i piani di attacco dell'imperialismo, in particolare di quello americano, attizzano le divergenze interimperialistiche e accelerano lo scoppio della crisi economica che sta maturando nel mondo capitalista. Basta notare l'imbarazzo degli imperialisti, in particolare degli americani, dopo la concessione fatta dalla diplomazia sovietica e cinese sui prigionieri e la caduta dei corsi di borsa nelle capitali imperialiste New York, Londra, Tokyo per valutare correttamente questa offensiva diplomatica. Essa è scoppiata nel preciso momento in cui l'imperialismo americano era sul punto di passare di nuovo all'azione in Corea, di intervenire nel Viet Nam e di operare direttamente o indirettamente contro la stessa Cina.
In Europa, la ratifica del trattato di Parigi e il riarmo della Germania stavano per superare gli ultimi ostacoli. Tutto questo ora è in parte rimesso in discussione, e gli imperialisti sono costretti a rivedere i loro piani immediati per poter far fronte sia all'«offensiva di pace» sia al pericolo di veder precipitare la crisi economica.
Mentre si sforzano di non perdere la faccia dinanzi ai loro popoli rifiutando puramente e semplicemente le concilianti offerte del Kremlino, rimangono tuttavia decisi a non «sgelare» il clima di guerra fredda, a mantenere il livello degli armamenti e ad affrettare la ratifica degli accordi di Parigi. Questa tendenza della politica imperialista è determinata dalle profonde necessità del sistema capitalistico, privato di una gran parte dei suoi mercati di unaa volta, in quanto la sua economia lavora essenzialmente per la guerra ed è minacciata da una nuova crisi economica.
Perché si possai avere un compromesso generale e durevole tra l'imperialismo e l'URSS alleata agli altri paesi anticapitalisti sarebbe necessario che il Kremlino fosse in grado di far concessioni sostanziali e non formali, riaprendo all'imperialismo i mercati che ad esso sono stati tolti dopo l'ultima guerra. Occorrerebbe inoltre che fosse possibile un riadattamento dell'imperialismo a una politica di espansione economica «pacifica» senza lo scatenarsi della grave crisi economica che attualmente lo minaccia nel caso di una notevole riduzione del programmi e delle spese di riarmo. Il Kremlino, malgrado i suoi desideri, non può offrire né una soluzione né l'altra.
Anche concessioni relativamente minori. come la resa all'imperialismo della rivoluzione nel Vietnam o in Malesia, non dipendono da un semplice gesto del Kremlino. Le masse di questi paesi, come di tutti i paesi coloniali e semi-coloniali, sono di per sé profondamente impegnate nella litta anti-imperialistica, e nessuna potenza è in grado di fermare la rivoluzione corso.
Ne deriva quindi la fragilità intrinseca di ogni compromesso con il Kremlino e la corsa quasi fatale dell'imperialismo verso la guerra, a meno che non si pensi che l'evoluzione dei rapporti di forza internazionali sempre più sfavorevole per l'imperialismo paralizzi completamente l'imperialismo stesso e lo costringa ad arrendersi senza lotta.
Questa evenualità è praticamente improbabile e non può essere accettata responsabilmente come base di un orientamento politico per l'avanguardia marxista rivoluzionaria. Occorre, al contrario, comprendere che, malgrado le apparenze ingannevoli, la situazione internazionale è ormai entrata, già in questo anno, in un periodo critico in cui il riarmo dell'imperialismo, unendosi alla minaccia di una crisi economica, la nuova situazione nell'URSS e l'aggravata instabilità nei paesi capitalisti e dipendenti rendono una guerra possibile e possono anche precipitarla. Ma d'altra parte la fiducia delle masse e della loro avanguardia marxista rivoluzionaria nel trionfo inevitabile e relativamente vicino, qualsiasi cosa accada, della Rivoluzione socialista mondiale, deve aumentare e divenire incrollabile.
I rapporti di forza internazionali evolvono globalmente in favore della Rivoluzione: ciò deve guidare la nostra azione. Gli avvenimenti nell'URSS dimostrano che l'ascesa rivoluzionaria ha raggiunto anche questo paese, e ciò porterà la Rivoluzione mondiale nel suo insieme a livelli più alti, mentre si accrescerà lo smarrimento tra i capitalisti e si preciserà maggiormente la minaccia di crisi.
Le prospettive rivoluzionarie non sono soltanto buone ma addirittura eccellenti.
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