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Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov



Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(ed. bandiera rossa 1965)
CIÒ CHE KRUSCIOV NON POTEVA DIRE

Il testo che segue — Quello che Krusciov non poteva dire — intendeva contrapporre al metodo usato dal cosiddetto rapporto segreto di Krusciov una sintetica analisi dell'involuzione subita dall'URSS nel periodo staliniano. E' stato pubblicato in un numero straordinario della rivista Quatrième Internationale (luglio 1956) e ripubblicato, assieme ad altri documenti nel Dossier de la déstalinisation (Paris, 1956), che recava la seguente dedica: «Dedichiamo questa pubblicazione alla memoria dei rivoluzionari periti nelle prigioni, negli isolatori, nei campi, vittime del terrore staliniano. La dedichiamo alla memoria di tutti coloro che, noti o ignoti, hanno continuato la lotta rivoluzionaria sotto lo spaventoso regime di Stalin, innanzi tutto a coloro che lo hanno fatto nell'URSS e così pure a coloro che hanno lottato in ogni paese contro lo stalinismo, per il leninismo»

La versione del «Rapporto Krusciov», resa pubblica dal Dipartimento di Stato americano il 4 giugno 1956, è probabilmente il discorso di Krusciov alla famosa riunione a porte chiuse del XX Congresso del PCUS, ritoccata ad uso dei funzionari del PCUS o dei partiti comunisti stranieri. Si può supporre, d'altra parte, che non sia completa e che manchino alcuni passi, omessi espressamente per vari motivi dai servizi del Dipartimento di Stato. E si può anche supporre che certe frasi vi siano state interpolate dal Dipartimento di Stato. Se di conseguenza questa versione non è l'«autentico» discorso di Krusciov al Congresso contiene tuttavia l'essenziale di questo discorso.
I dirigenti sovietici non hanno smentito questo testo. Al contrario, dopo le dichiarazioni degli organi di alcuni partiti comunisti — ad esempio degli USA, dell'Inghilterra e d'Italia — che avevano immediatamente riconosciuto implicitamente o esplicitamente che si trattava di una versione vicina al discorso autentico, le recenti dichiarazioni di Togliatti e dei vari partiti comunisti hanno tolto gli ultimi dubbi che potevano ancora sussistere.

Alcune osservazioni di carattere generale

Ciò che innanzi tutto colpisce in questo testo, è la differenza di tono usata da Krusciov tra il suo discorso iniziale al XX Congresso e quello finale. Il primo, pronunciato il 14 febbraio, non contiene alcun attacco diretto a Stalin; il secondo, invece, è interamente dedicato alla demolizione violenta e sistematica dell'idolo. Nel primo, Krusciov dichiara: «I trotskisti, i bukhariniani, i nazionalisti borghesi e altri nemici giurati del popolo, i campioni della restaurazione del capitalismo, hanno fatto tentativi disperati per far crollare dall'interno l'unità leninista del partito, tentativi che si sono infranti tutti contro questa unità ».
Nel secondo, invece, egli ammette a più riprese il carattere ideologico delle varie tendenze che si sono manifestate all'interno del PCUS, disapprova le misure di repressione fisica che furono adottate contro queste tendenze e denuncia la definizione di «nemico del popolo» coniata da Stalin, fornendo così implicitamente la base per la riabilitazione personale ma non politica di uomini come Zinoviev, Kamenev, Bukharin, Tukhacevsky e forse anche Trotskij.
E' evidente che nella seduta segreta del CC del PCUS. tenutasi prima che pronunciasse il suo discorso finale al Congresso, Krusciov ha dovuto cambiare idea e gli è stato dato mandato di pronunciare questo discorso a nome della maggioranza del CC. Passando rapidamente sui «meriti» di Stalin, egli si è lanciato nella diatriba più violenta contro il suo amico maestro, attribuendosi in tal modo la palma di vero «demolitore» di Stalin.
Più che utile, questo titolo deve essergli letteralmente necessario per poter consolidare il suo posto di leader alla testa della frazione antistaliniana maggioritaria che si è scatenata al XX Congresso.
Quello che colpisce poi nel discorso di Krusciov è l'abile dissociazione del ruolo personale di Stalin dalle condizioni sociali e politiche che hanno favorito questo ruolo. Stalin appare come un personaggio sinistro — come in effetti era — del quale però mal si spiega l'onnipotenza che gli attribuisce Krusciov, se ci si attiene alle spiegazioni che questo ultimo ha fornito.
Il modo in cui Krusciov spiega il passaggio insensibile di Stalin dall'oscurità politica — che riconosce come una realtà ancora nel 1924 — all'onnipotenza diabolica, è notevolmente superficiale e, neanche a dirlo, apertamente antimarxista. E' il rovescio del «culto della personalità». Ma naturalmente in questo settore Krusciov ha un compito difficile se non impossibile: giustificare l'appoggio dato a Stalin dai membri della attuale «direzione collettiva» nella lotta contro i trotskisti degli anni 1923-1928, gli anni decisivi, cioè, della ascesa di Stalin; far scomparire la burocrazia come strato sociale privilegiato sulla quale si è appoggiato socialmente Stalin per strangolare la democrazia proletaria in URSS; eludere le gravissime responsabilità sue e dei suoi attuali colleghi nel periodo che va dalle grandi purghe degli anni 1936-1939 alla scomparsa di Stalin.
Krusciov, come rappresentante della direzione politica della burocrazia sovietica, è evidentemente incapace di farne il processo, e si contenta di accusare e di demolire quello che è stato il capo bonapartista di questa burocrazia per un lungo periodo: Stalin. Ma si guarda bene dal chiamare in causa il regime politico che ha prodotto Stalin e gli ha permesso di avere un tale ruolo: il regime della burocrazia sovietica instaurato sulle rovine della democrazia proletaria dei tempi di Lenin e Trotskij.
Tuttavia, gli errori, le falsificazioni, i delitti che Krusciov enumera nel corso del suo discorso denunciano chiaramente la mostruosa deformazione burocratica dello Stato operaio sorto dalla grande Rivoluzione d'Ottobre.
Questa è l'inevitabile conclusione alla quale arriverà prima o poi chi legge criticamente il discorso di Krusciov e vi riflette. Si parla di «rivelazioni» del discorso di Krusciov, e questi fa finta di credere che «rivela i segreti » del dominio di Stalin. Egli vuole anche accreditare l'opinione che solo dopo la scomparsa di Stalin è stata scoperta la «verità» da parte dei membri dell'attuale «direzione collettiva» su tutta una serie di crimini di Stalin. Ingenui e innocenti epigoni!
In realtà, i dirigenti della burocrazia sovietica, come milioni di cittadini sovietici vittime del regno assolutista e crudele di Stalin, erano perfettamente al corrente dei fatti «rivelati» oggi. I principali dirigenti dei partiti comunisti stranieri non erano certamente all'oscuro della vera natura del regime politico dell'URSS sotto Stalin, e neppure i dirigenti politici della borghesia internazionale. Questo però non ha impedito a molti di questi ultimi di coprire Stalin personalmente di elogi pur combattendo il sistema sociale dell'URSS.
Stalin era apparso loro come il male minore rispetto ad un vero regime politico di democrazia proletaria in URSS e ad una autentica direzione rivoluzionaria. Essi hanno saputo egualmente apprezzare il ruolo controrivoluzionario eminente avuto da Stalin sul piano internazionale.
Soltanto l'Opposizione di sinistra in URSS e nel mondo guidata da Lev Trotskij e poi la IV Internazionale, che ne ha raccolto l'eredità, hanno detto a tempo, e ogni volta, la verità agli operai su Stalin e il suo dominio. Soltanto esse hanno denunciato ogni volta i crimini e i tradimenti perpetrati da Stalin e dalla burocrazia sovietica, di cui Stalin era il capo bonapartista, contro le masse sovietiche e internazionali.
Per la IV Internazionale, che ha raccolto l'eredità dell'Opposizione di Sinistra in URSS e della III Internazionale, le «rivelazioni» di Krusciov non costituiscono niente di nuovo o di «sensazionale».
Al contrario, esse confermano punto per punto le accuse mosse in passato da Trotskij e dalla IV Internazionale contro Stalin, istigatore dell'assassinio di Kirov, del suicidio di Orzhonikidze, dei mostruosi processi di Mosca e dell'interminabile serie di crimini che Krusciov «rivela» soltanto ora. Gli scritti classici su questa materia, e in particolare quelli di Lev Trotskij, sono la testimonianza imperitura dinanzi alla Storia che la verità su Stalin è stata detta ogni volta e completamente, cioè sui fatti e le loro cause spiegate dal punto di vista del marxismo rivoluzionario. La storia della Rivoluzione russa, Il nuovo corso, la Piattaforma della Opposizione di sinistra del 1927, La Rivoluzione deformata, La III Internazionale dopo Lenin, La Rivoluzione tradita, I crimini di Stalin, Stalin, (oltre innumerevoli articoli). Sono anche da consultare i libri di Victor Serge: Destino di una Rivoluzione, Se è mezzanotte nel secolo. Vita e morte di Trotskij, Memorie di un rivoluzionario, etc.
Aggiungiamo a questa lista anche il libro dell'ex comunista jugoslavo Anton Ciliga Nel paese della grande menzogna e quello di A. Weisberg L'accusato, che contengono una valida documentazione sugli orrori delle grandi purghe del 1936-1939.
Il discorso di Krusciov tratta esclusivamente degli «errori» e dei crimini di Stalin sul piano interno dell'URSS e nella sua politica estera, ma evita accuratamente di parlare del suo ruolo nella politica della III Internazionale dopo Lenin e verso il movimento operaio internazionale. E a ragione. Questa politica di abbandono del leninismo e di tradimento era stata in realtà la politica della burocrazia sovietica verso il movimento operaio internazionale e la rivoluzione socialista mondiale.
Concludendo il suo discorso, Krusciov fa queste osservazioni: «Dovremo esaminare seriamente la questione del culto della personalità. Nessuna notizia su questo dovrà filtrare all'esterno: la stampa soprattutto non deve essere informata. E' per questo che esaminiamo questa questione a porte chiuse. Ci sono dei limiti a tutto. Non dobbiamo fornire armi al nemico: non dobbiamo lavare i nostri panni sporchi sotto i suoi occhi».
Questa è una strana concezione dell' «autocritica leninista» che esige la correzione degli errori commessi dal partito rivoluzionario francamente e completamente di fronte alla classe operaia. Nel suo discorso, Krusciov dimostra a qual punto inimmaginabile il potere di Stalin fosse divenuto arbitrario, a qual punto inimmaginabile le sue esortazioni «alla critica e alla autocritica», ripetute in coro da tutti i partiti comunisti, ricoprissero una cinica ipocrisia ad uso degli ingenui e dei furfanti matricolati.
Ma che fa Krusciov a questo punto ? Vuole «lavare i panni sporchi in famiglia», in un cerchio ristretto di alti burocrati dal quale sono state escluse anche le direzioni dei partiti comunisti stranieri!
Il testo del suo discorso sul dominio di Stalin che per trenta anni ha dominato l'URSS e la vita del movimento comunista internazionale doveva restare ancora un «segreto», ed è stato conosciuto soltanto dal Dipartimento di Stato, naturalmente preoccupato di utilizzarlo per i suoi fini di «guerra fredda».
Ecco la maniera di procedere all'«autocritica» della nuova direzione «leninista»!
Non parliamo delle direzioni degli altri partiti comunisti. Esse si sforzano di ridurre al minor danno l'operazione di «destalinizzazione» alla quale sono costretti dalle «rivelazioni» del XX Congresso, e per ora fanno di tutto per minimizzarla e farla passare in modo quasi inavvertito. Una bagatella storica!
Ma è tempo di comprendere che senza autocritica e senza una spiegazione franca e completa del dominio di Stalin che si basava su un sistema burocratico in URSS e nei partiti comunisti, non può esserci un «ritorno a Lenin» e un rinnovamento del movimento comunista internazionale. Prima o poi, l'azione delle masse nella stessa URSS, nelle «Democrazie popolari», nei paesi capitalistici e dipendenti, spazzerà via le direzioni burocratiche complici dei crimini di Stalin, farà luce completa sul suo dominio, trarrà le necessarie conclusioni e restaurerà, arricchita da tutta questa esperienza, la democrazia proletaria dei tempi di Lenin e Trotskij.
Esaminiamo ora le questioni relative alla vera storia di ciò che è accaduto in URSS dopo la morte di Lenin e fino al 1934, data dalla quale Krusciov fa cominciare il regno assolutista e sanguinoso di
Stalin. Ci proponiamo di dimostrare, sulla scorta dei fatti e dei testi, che:
a) La burocratizzazione del PCUS e del regime politico in URSS era cominciata durante la malattia di Lenin e l'ascesa di Stalin al segretariato del partito (XI Congresso del PCUS nel 1922);
b) La lotta contro questa burocratizzazione era stata cominciata dallo stesso Lenin e proseguita da Lev Trotskij e dall'Opposizione di sinistra del PCUS;
c) La lotta per l'industrializzazione e la collettivizzazione della economia in URSS fu condotta negli anni 1923-1928 da Lev Trotskij e dall'Opposizione di sinistra e contro la destra del partito diretta da Bukharin e Rikov contro Stalin; le sconfitte dell'opposizione di sinistra e successivamente della destra, ottenute con mezzi burocratici, furono la condizione indispensabile perché Stalin e i suoi accoliti si liberassero da ogni controllo del partito per strangolare completamente la democrazia proletaria nel partito e nel paese e instaurare il regime burocratico assolutista e sanguinoso degli anni 1932-1953.

La lotta contro la burocratizzazione e per la democrazia proletaria

Mentre Lenin era in vita, il partito bolscevico fu il più democratico dei partiti operai che la storia ci abbia fatto conoscere. Soltanto la IV Internazionale, erede delle vere tradizioni del bolscevismo, conserva attualmente un tale regime interno. Ecco la verità storica che è necessario opporre non soltanto agli epigoni staliniani di Lenin e agli attuali epigoni di Stalin, ma anche alle direzioni burocratiche centriste di tutti i tipi o socialdemocratiche che insistono sulla cosiddetta «antidemocraticità» del bolscevismo.
Il partito bolscevico del tempo di Lenin era un'organizzazione combattiva, viva, un'organizzazione basata sull'eleggibilità a tutti i livelli — e questa era la regola, mentre la cooptazione o la nomina dall'alto costituivano l'eccezione — sulla convocazione regolare annuale del congresso del partito; sul diritto di ogni membro del partito, di ogni gruppo ideologico (tendenza) «di portare le divergenze di principio dinanzi a tutto il partito» (Lenin) poiché i membri del partito erano abituati a studiare «col necessario sangue freddo, coscienziosamente, innanzi tutto la natura delle divergenze e poi lo sviluppo della lotta nel partito» (Lenin), esigendo «la pubblicazione esatta dei documenti messi alla portata di tutti e della cui autenticità non si può dubitare» (Lenin); su una direzione, uno «stato maggiore» che si appoggiava effettivamente sulla buona volontà cosciente dell'«esercito», della sua base, che «segue il suo stato maggiore nello stesso tempo che lo dirige» (Lenin).
Il partito bolscevico ha praticamente dimostrato il carattere democratico della sua organizzazione militante nelle grandi discussioni storiche che hanno avuto luogo durante la presa del potere nel 1917 e poi durante la guerra civile: divergenze con Zinoviev e Kamenev sulla presa del potere nell'ottobre del '17 di cui fa parola Krusciov; divergenze sulla pace di Brest Litovsk nel 1918; divergenze sulla creazione di un esercito regolare centralizzato nel 1919; divergenze sui sindacati nel 1921.
In ognuno di questi casi, la direzione del partito bolscevico si trovò momentaneamente divisa in diverse tendenze ideologiche che portarono le loro divergenze dinanzi a tutto il partito, sulla stampa, nelle riunioni, etc. La tendenza in cui si trovava Lenin non fu né ogni volta né fin dall'inizio maggioritaria o composta dagli stessi uomini. Ma dopo la discussione, le conferenze o i congressi del partito decidevano con voto maggioritario sulle divergenze, senza punizioni di nessun genere per gli oppositori minoritari. Questa sarebbe stata un'idea inconcepibile al tempo di Lenin. Ad esempio, Zinoviev, malgrado il suo grave disaccordo con Lenin e gli altri dirigenti del partito nel 1917, fu nominato presidente della III Internazionale e membro dell'Ufficio Politico.
E' vero che questo regime democratico del partito ha subito una alterazione al tempo del X Congresso del partito bolscevico nel 1921. Stalin e coloro che hanno collaborato con lui immediatamente dopo la morte di Lenin (ivi compresi Zinoviev, Kamenev e Bukharin) hanno voluto in parte basarsi sulle decisioni di questo congresso per lottare burocraticamente contro la sinistra del partito guidata da Trotskij. D'altra parte, le varie critiche, centriste o riformiste, del bolscevismo non cessano di attribuire la degenerazione staliniana alle «radici del male» delle quali scoprono la esistenza già nel bolscevismo, riferendosi particolarmente al X Congresso PCUS. Ma di cosa si trattava in realtà?
Il X Congresso del PCUS è noto per aver proibito le frazioni organizzate; all'interno del partito. Non le tendenze ideologiche momentanea ma i raggruppamenti organizzati permanenti aventi una disciplina propria, diversa da quella del partito. Ma anche questa proibizione, nel pensiero di Lenin, era soltanto provvisoria; doveva restare in vigore solo fino a quando la situazione dell'URSS rimanesse delicata com'era al momento della convocazione del X Congresso.
Inoltre, questo congresso è noto anche per aver segnato la fine del comunismo di guerra e l'instaurazione della nuova politica economica, la NEP.
La rigorosa applicazione della politica del periodo del comunismo di guerra (1918-1921), imposta dalle condizioni della guerra civile e dall'intervento imperialista, aveva portato la situazione interna dell'URSS ad un punto critico: la produzione industriale era scesa ad un livello bassissimo, i contadini cominciavano a ribellarsi allo Stato operaio che li costringeva a pesanti consegne in natura senza un corrispettivo di prodotti industriali, la burocratizzazione nell'apparato statale e in quello del partito segnava inquietanti progressi. Alla vigilia della convocazione del X Congresso scoppiò la rivolta dei marinai di Kronstadt la maggioranza dei quali era di origine contadina ed esprimeva il profondo malcontento delle masse contadine. Varie altre rivolte contadine avvennero nello stesso momento nell'URSS, nella provincia di Tambov e in altre parti. Nel partito stesso esistevano allora due opposizioni organizzate che lottavano violentemente contro la burocratizzazione accelerata dell'apparato dello Stato e del partito, per la democrazia proletaria, ma sulla base di programmi con rivendicazioni politiche ed economiche insostenibili: l'Opposizione operaia diretta da Schliapnikov e dalla Kollontai e la opposizione dei Centralisti democratici, diretta da Ossinsky, Maksimovsky, Sapronov, Drobnis, Boguslavski e altri vecchi militanti bolscevichi. L'unità del partito, sottoposto alle gravi pressioni interne e internazionali, era allora seriamente minacciata. E fu in queste condizioni che venne adottata la risoluzione che metteva al bando provvisoriamente le frazioni organizzate.
Ma questa proibizione non toccava minimamente la libertà di discussione e di critica nel partito. Il punto 4 di questa risoluzione lo specificava chiaramente: «E' necessario che ogni organismo del partito si preoccupi che le critiche assolutamente necessarie delle debolezze del partito, le analisi della direzione generale del partito, tutte le valutazioni della sua esperienza pratica, ogni esame dell'esecuzione delle decisioni del partito e dei mezzi per correggere gli errori, ctc. non vengano discusse in gruppi separati che abbiano una «piattaforma», ma piuttosto in riunioni di membri del partito. Per questo, il Congresso decide di pubblicare un bollettino di discussione e speciali periodici. Tutti coloro che avanzano critiche debbono prendere in considerazione la situazione del partito, circondato da nemici da ogni parte e debbono anche sforzarsi, nella loro attività nei soviet e negli organismi di partito, di correggere praticamente gli emiri del partito».
In questo congresso, Riazanov volle presentare questo emendamento: «II congresso condanna l'azione frazionista con la più grande energia e nello stesso tempo, con la medesima energia, si pronuncia contro l'elezione al Congresso sulla base di piattaforme». Ma Lenin lo combattè in questi termini: «Penso che il desiderio del compagno Riazanov sfortunatamente non sia realizzabile. Se esistono disaccordi fondamentali su una questione, non possiamo privare i membri del Comitato Centrale del diritto di rivolgersi al partito. Non vedo assolutamente come potremmo farlo. Questo Congresso non può in nessun modo e sotto alcuna forma decidere le elezioni per il prossimo Congresso. E se, ad esempio, fossero sollevate questioni come quella della pace di Brest Litovsk? Possiamo garantire che questioni simili non saranno sollevate; No, questo non potrebbe essere garantito. E' possibile perciò che in un caso del genere sia necessario procedere alle elezioni sulla base di piattaforme. Questo è abbastanza chiaro». (Verbali del X Congresso - pag. 292)
Nello stesso periodo, Lenin precisava ancora meglio il suo pensiero sul regime del partito: «Ma se esistono disaccordi di principio, profondi, fondamentali — si potrebbe domandare — non giustificherebbero forse la più vigorosa azione frazionista? Naturalmente la giustificherebbero, se questi disaccordi fossero veramente profondi e se la correzione della politica errata del partito o della classe operaia non potesse essere effettuata in altra maniera». (Opere complete, ed. russa vol. XVIII, pag. 47) Da questo, si può dedurre chiaramente lo spirito in cui fu adottata la famosa risoluzione sulle frazioni del X Congresso e quali ne erano i limiti.
Al congresso successivo — l'XI Congresso del PCUS del marzo 1922 — Lenin, sempre più cosciente dei pericoli di burocratizzazione che si manifestavano nell'apparato dello Stato e del partito, esorta le masse e la base proletaria del partito a combattere questi pericoli crescenti. Dice nel suo rapporto al congresso: «E voi comunisti, voi operai, voi parte cosciente del proletariato, voi che siete incaricati di governare lo Stato, voi a cui spetta di far funzionare lo Stato come intendete voi... Lo Stato non ha funzionato come intendevamo. E come ha funzionato? La macchina non obbedisce: certo, c'è un uomo al volante, che sembra guidarla, ma la macchina non corre nella direzione voluta. Va dove un'altra forza la spinge...Lo strato dirigente dei comunisti manca di cultura. Vediamo a Mosca. Quale massa di burocrati! — chi dirige e chi è diretto? I 4.700 comunisti responsabili dirigono la massa dei burocrati, o inversamente? Non credo che voi possiate dire che i comunisti dirigono questa massa. Per parlare francamente, essi non sono i dirigenti, ma coloro che vengono diretti. Siamo ora arrivati alla conclusione che il punto centrale, il compito principale è negli uomini, nella scelta degli uomini. (Questa idea è il nucleo del mio rapporto). La massima cura deve essere rivolta alla selezione degli uomini, al controllo dell'esecuzione effettiva degli ordini ».
E' in questo periodo che Lenin prende coscienza del pericolo della burocratizzazione del partito, aggravato dalla nomina all'XI Congresso di Stalin a segretario generale, su proposta non di Lenin, ma di Zinoviev. Egli si orienta allora verso l'organizzazione di una battaglia decisiva per arrestare la burocratizzazione nell'apparato statale e del partito e per l'allontanamento di Stalin dalla carica di segretario generale.
Ma la malattia lo paralizza praticamente durante tutto il 1923, l'anno decisivo dell'ascesa di Stalin nelle sfere dell'apparato del partito. Lenin, lucido ma praticamente già fuori combattimento, assiste impotente nel suo letto al consolidamento «della burocrazia non soltanto nelle istituzioni sovietiche ma anche in quelle del partito» (marzo 1923).
Al XII Congresso del partito (aprile 1923), assente Lenin ammalato, è Lev Trotskij ad essere incaricato del rapporto principale nel quale indica il programma per combattere i nuovi pericoli economici e politici derivanti dall'applicazione della NEP nelle condizioni dell'URSS di allora: squilibrio tra l'economia agricola e l'industria, burocratizzazione accelerata nell'apparato dello Stato e del Partito.
Perché la NEP non si consolidi con uno sviluppo più rapido delle forze economiche neocapitaliste, Trotskij per primo propone già nel 1923 l'idea di un'industrializzazione accelerata, secondo un piano d'insieme per tutta l'economia, e la razionalizzazione delle aziende.
D'altra parte, di fronte ai pericoli di burocratizzazione dell'apparato dello Stato e del partito, Trotskij propone strette economie nell'amministrazione politica ed economica del paese, riducendo fortemente l'apparato burocratico e facendo partecipare al controllo e anche alla gestione dell'industria gli operai di base democraticamente organizzati.
Al Congresso, la direzione del partito adottò all'unanimità queste proposte, poiché corrispondevano alle esigenze obiettive e alle critiche delle masse e della base del partito. Ma, sabotate dalla burocrazia in ascesa, di cui ormai Stalin era uno dei portavoce politici, rimasero sulla carta. Questo ha aggravato la situazione nel paese e nel partito invece di migliorarla — come ancora si sperava al XII Congresso. In assenza di un'industrializzazione accelerata dell'economia sovietica secondo un piano d'insieme, gli squilibri nei prezzi e nella produzione, tra l'industria e l'agricoltura, si accrebbero ancor più, provocando un grave malcontento tra gli operai e i contadini. Verso la fine del 1923 vari scioperi operai scoppiarono o minacciarono di scoppiare nel paese.
Per il fatto che non furono prese misure efficaci per frenare la burocratizzazione dell'apparato dello Stato e del partito, la decisione di mettere al bando le frazioni nel partito fu presto superata da elementi del partito i quali, pur combattendo sulla base di una piattaforma politica errata, esprimevano tuttavia il malessere esistente nella classe operaia, tra i contadini e nella base stessa del partito. Si scoprirono così due nuovi gruppi clandestini nel partito: il «gruppo operaio » diretto dal vecchio bolscevico Miasnikov e la «verità operaia» diretta da Kuznetsov, espulso dal partito nel 1922. Questi gruppi preconizzavano un'azione di massa contro il regime dello Stato e del partito, accusati entrambi di burocratismo avanzato.
Invece di rifarsi alle radici economiche e politiche di questi sintomi di crisi nel paese e nel partito, la frazione Stalin-Zinoviev, alla direzione del partito, istituì una commissione che chiese ai membri del partito «di denunciare ad essa o alla polizia i gruppi illegali esistenti nel partito ».
E' in queste condizioni che Trotskij decise di rivolgersi a tutto il partito per metterlo in guardia sulla gravità della situazione, spiegando le ragioni della crisi e proponendo di nuovo misure per uscirne. L'8 ottobre 1923, egli inviò a questo proposito una lettera al Comitato centrale del PCUS e alla Commissione centrale di controllo, lettera della quale stralciamo i seguenti passi, così significativi attualmente: «Una delle proposte della commissione del compagno Dzerzhinsky dice che noi dovremmo obbligare i membri del partito che conoscono l'esistenza di raggruppamenti nel partito di comunicare la cosa alla Ghepeù, al Comitato Centrale e alla Commissione centrale di controllo. Parrebbe che informare gli organismi del partito del fatto che le sue formazioni sono utilizzate da elementi ostili al partito sia un obbligo dei membri del partito così elementare che non dovrebbe essere necessario introdurre una risoluzione speciale a questo proposito sei anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre. Anche la proposta di una simile risoluzione è un sintomo estremamente preoccupante, accostato ad altri non meno chiari... La proposta di una simile risoluzione significa: a) che gruppi di opposizione illegali si sono formati nel partito e possono divenire pericolosi per la Rivoluzione; b) che esiste nel partito uno stato d'animo che fa sì che dei compagni al corrente dell'esistenza di questi gruppi non li denuncino al partito. Questi due fatti dimostrano che si è verificato un deterioramento straordinario della situazione del partito dal XII Congresso.
«... Nel momento più grave del comunismo di guerra, il sistema di designazione nel partito non aveva raggiunto la decima parte dell'estensione che ha ora. Nominare i segretari dei comitati provinciali è divenuta ora la regola, e questo dà al segretario una posizione essenzialmente indipendente nei confronti dell'organizzazione locale... Il XII Congresso si era svolto sotto il segno della democrazia. Parecchi discorsi pronunciati allora per difendere la democrazia operaia mi sembrarono esagerati e, in gran parte, demagogici, data l'incompatibilità di una democrazia operaia piena in un regime di dittatura. Ma era perfettamente chiaro che lo stato di guerra doveva lasciare il posto ad una responsabilità più larga e più concreta del partito. Tuttavia il regime attuale, che cominciò a formarsi prima del XII Congresso e che poi si è rinforzato ed ha acquistato la sua forma finale, è molto più lontano dalla democrazia operaia del regime del periodo più duro del comunismo di guerra.
«La burocratizzazione dell'apparato del partito si è sviluppata in proporzioni inaudite mediante il metodo delle designazioni effettuate dalla segreteria. Così si è creato uno strato assai largo di funzionari del partito che sono penetrati nell'apparato del partito e del governo e che hanno completamente rinunciato alle loro opinioni come membri del partito — o almeno ad esprimerle apertamente — come se avessero riconosciuto che la gerarchia del segretariato è l'apparato che crea l'opinione e che decide per il partito. Al di sotto di questo strato si trova la larga massa del partito, senza opinioni proprie, alla quale tutte le decisioni sono presentate sotto forma di intimazioni o di ordini. All'interno di questa massa di base del partito si accumula una carica straordinaria di malcontento... Questo malcontento non scompare mediante l'influenza della massa sull'organizzazione del partito (elezioni dei comitati del partito, dei segretari, etc.) ma aumenta in segreto, portando così a tensioni interne.
«... I membri del Comitato Centrale e della Commissione centrale di controllo sanno che, pur lottando con la più grande decisione ed energia all'interno del Comitato Centrale contro una politica falsa, ho deliberatamente evitato di sottomettere la lotta che vi si svolge al giudizio di un gruppo anche ristretto di compagni, in particolare a coloro i quali — se il corso del partito fosse stato quello che ragionevolmente avrebbe dovuto essere — occuperebbero nel Comitato Centrale posizioni eminenti. Sono obbligato a dichiarare che i miei sforzi da un anno e mezzo non hanno avuto risultati. Ciò implica il pericolo che il partito venga colto alla sprovvista da una crisi di gravità eccezionale... Di fronte a una tale situazione, considero non soltanto mio diritto ma anche e soprattutto mio dovere far conoscere la realtà a tutti i membri del partito che considero sufficientemente preparati, maturi e dotati di sangue freddo e di conseguenza capaci di aiutare il partito ad uscire da questa impasse senza convulsioni frazionistiche ».
«Una settimana più tardi, 46 membri e dirigenti del PCUS tra i più importanti, indirizzavano da parte loro una lettera al CC, nella quale veniva ripresa la parte essenziale delle critiche formulate da Trotsky e si richiedeva la convocazione di una conferenza straordinaria per poter prendere le misure necessario ad uscire dalla crisi esistente nel paese e nel partito. Tra i firmatari di questa lettera figurano: Piatakov, Muralov, Serebriakov, Belebedrov, Rosengoltz, Sosnovsky, Voronsky, Preobrazhensky, I.N. Smirnov, Antonov Ovseenko, V. Sapronov, Bubnov, Kossior, etc. Quasi tutti i firmatari della lettera dei 46 furono più tardi assassinati da Stalin nel periodo 1936-1939.
Nel dicembre 1923, Trotskij scrisse la famosa serie di articoli conosciuta sotto il nome di «Nuovo corso», vera carta della democrazia proletaria che egli continuò ad opporre invano alla burocratizzazione accelerata dell'apparato dello Stato e del partito.
«Nel gennaio 1924, Lenin muore e il suo testamento non soltanto non viene eseguito, ma non viene nemmeno fatto conoscere alla massa del partito. Stalin, aiutato in questo periodo sia da Zinoviev e Kamenev che da Bukharin, tutti coalizzati contro Trotskij e il programma dell'Opposizione di Sinistra, ottiene infine mano libera. Consolida il suo potere burocratico, aiutato socialmente dalle forze della burocrazia privilegiata dello Stato e del partito e dalle forze neoborghesi del «nepman » e del kulak, prodotti di una applicazione della NEP senza una industrializzazione pianificata che la controbilanciasse.
Inoltre, il proletariato sovietico, affaticato dagli anni della guerra civile e deluso dal colpo ricevuto dalla rivoluzione mondiale a partire dal 1923, batteva ormai in ritirata.
«Stalin diveniva insensibilmente il portavoce politico degli strati sociali della burocrazia in ascesa. E' riuscito a vincere l'Opposizione di Sinistra diretta da Trotskij e da un gran numero di vecchi bolscevichi solo grazie a queste condizioni sociali e politiche, alla complicità di uomini come Kamenev, Zinoviev e Bukharin che l'hanno coperto con il loro prestigio nel partito e tra le masse, e al controllo dell'apparato del partito che già aveva in parte dal 1923. Tra la XIII Conferenza del PCUS (gennaio 1924) e il XIII Congresso del partito (maggio 1924), Stalin immise nel partito 240.000 nuovi membri, pari cioè al 50% dei vecchi iscritti. Dal XIV Congresso (1925) al XV Congresso, tenutosi alla fine del 1927 e che espulse Trotskij e l'Opposizione di Sinistra, Stalin introdusse nel partito 100.000 nuovi membri contadini, appartenenti in maggioranza ai settori agiati.
«Il partito, che nel 1927 escluse Trotskij insieme a Zinoviev e Kamenev, era un altro partito, un partito diverso da quello di Lenin. Ecco come lo dipinge l'Opposizione di Sinistra nella sua piattaforma che fu sottoposta alla discussione preparatoria del XV Congresso. Il documento era firmato dai seguenti membri del CC di Lenin: Trotskij, Zinoviev, Kamenev, Piatakov, Radek, Rakovsky, Smilga, Sokolnikov, Evdokimov, Peterson, Bakaiev, ed aveva raccolto più di diecimila firme di membri del partito:
«Il burocratismo cresce in tutti i settori, ma dove la sua crescita è particolarmente perniciosa è nel partito. Oggi, il burocrate «dirigente» del partito ragiona così: «Ci sono membri del partito che non comprendono ancora chiaramente cosa è il partito, cosa rappresenta. Essi pensano che il punto di partenza del partito sia la cellula, che la cellula sia la prima pietra, che dopo la cellula venga il Comitato di zona e poi gli altri Comitati, via via fino al CC. Ma non è così. Il nostro partito deve essere visto dall'alto. E quest'ordine deve essere rispettato nei rapporti reciproci pratici e in tutto il lavoro. (Molot del 2-5-27, discorso del segretario aggiunto del Comitato regionale del Caucaso del Nord, compagno Zhivov).
La definizione della democrazia interna del partito data da altri compagni più responsabili, come i compagni Uglanov, Molotov, Kaganovic (Pravda del 4/6/26 e del 13/6/26) ha lo stesso senso. Questa «nuova» struttura del partito porta in sé grossi pericoli. Se accettiamo realmente che il «partito deve essere visto dall'alto», questo significherebbe che il partito di Lenin, il partito delle masse operaie, non esiste più.
«V. In questi ultimi anni, l'annientamento della democrazia interna del partito è continuata sistematicamente, contrariamente a tutto il passato del partito bolscevico, contrariamente a decisioni precise di tutta una serie di congressi del partito. Il sistema dell'eleggibilità scompare. I principi organizzativi del bolscevismo sono snaturati a ogni pié sospinto. Gli statuti del partito sono sistematicamente modificati nel senso di un aumento dei diritti degli organismi superiori e di una diminuzione dei diritti delle cellule di base. La durata dei mandati dei Comitati distrettuali, zonali, regionali, del CC, viene prolungata di un anno, di due anni o ancor di più. Le direzioni dei Comitati regionali del partito, dei soviet, dei sindacati, etc., sono di fatto inamovibili per tre o cinque anni. Il diritto di ogni membro del partito, di ogni gruppo, «di portare le divergenze di principio dinanzi a tutto il partito» (Lenin) è di fatto abolito. I congressi e le conferenze vengono convocati senza che le questioni siano state liberamente discusse dall'insieme del partito, come avveniva al tempo di Lenin, e il fatto di richiedere queste discussioni è considerato una violazione della disciplina del partito. Le parole di Lenin sullo «stato maggiore» che deve appoggiarsi effettivamente sulla buona volontà cosciente dell'esercito che segue il suo «stato maggiore» nello stesso tempo che lo dirige (vol. IV pag. 318) sono completamente dimenticate.
«Strettamente collegato al corso generale attuale, si viene a compiere all'interno del partito un processo estremamente importante, che consiste nel mettere da parte i vecchi membri che sono passati attraverso il lavoro illegale o almeno attraverso la guerra civile, capaci di difendere le proprie opinioni, sostituendoli con nuovi elementi che diano soprattutto prova di obbedienza passiva. Questa obbedienza, incoraggiata dalla direzione che la spaccia per disciplina rivoluzionaria, non ha in realtà niente in comune con quest'ultima.
«Accade spesso che i nuovi membri del partito, che provengono dalla categoria degli operai che si distinguevano prima per la loro sottomissione completa agli ex-governanti, siano attualmente collocati in posti dirigenti nelle cellule operaie e nell'amministrazione. Questi elementi tentano di rientrare nelle buone grazie, ostentando apertamente la loro viva animosità verso i vecchi operai — militanti del partito — guide della classe operaia nei momenti più difficili della Rivoluzione.
Queste deviazioni, in forma molto più ripugnante, sono trasportate nell'apparato dello Stato. Vi si trova sovente il modello compiuto del «membro del partito» funzionario sovietico, che giura nei momenti solenni sull'Ottobre, che esegue con la massima indifferenza il compito che gli è stato fissato, che affonda le radici negli ambienti piccolo-borghesi, che — in privato — fa della maldicenza spicciola sui dirigenti e che, nel giorno riservato alle riunioni di partito, attacca l'Opposizione.
«I diritti effettivi dei «grossi» membri del partito (in primo luogo quelli del segretario) sono molto più estesi dei diritti effettivi delle centinaia di comunisti di base. Poco a poco, l'apparato si impadronisce di tutto il lavoro del partito e lascia quest'ultimo in seconda fila. Tutto ciò è coronato da una «teoria» di Stalin che nega la posizione di Lenin — indiscutibile per ogni bolscevico — dicendo che la dittatura del proletariato può essere realizzata solo dalla dittatura del partito.
L'annientamento della democrazia interna del partito porta all'annientamento della democrazia operaia in generale, nei sindacati e in altre organizzazioni di massa non di partito: «Si deformano le divergenze interne del partito. Per mesi ed anni si conduce una polemica velenosa contro il punto di vista dei bolscevichi che sono classificati «opposizione». Non si dà loro la possibilità di far conoscere il loro punto di vista sulla stampa del partito. I menscevichi, i cadetti, i socialrivoluzionari, il Bund, i sionisti di ieri, polemizzano sulle colonne della Pravda contro i documenti inviati al CC dai membri dell'opposizione deformando alcune frasi tolte dal loro contesto. Ma i documenti stessi non vengono mai pubblicati. Si obbligano le cellule del partito a votare e a «condannare » documenti che neppure conoscono.
Il partito è obbligato a giudicare le divergenze sulla base di documenti dell'opposizione che vengono alterati, di idee false e grossolanamente menzognere che le vengono attribuite. Le parole di Lenin «chi crede sulla base di semplici parole è un inguaribile idiota» sono sostituite da questa nuova formula: «chi non crede alle semplici parole appartiene all'opposizione». Gli operai delle fabbriche che appoggiano il punto di vista della opposizione pagano le loro idee con la disoccupazione. Un membro di base del partito non può manifestare apertamente la sua opinione. I vecchi militanti del partito non possono esprimersi né sulla stampa né in riunioni di partito.
Si accusano perfidamente i bolscevichi che difendono le idee di Lenin di voler creare un «secondo partito». Quest'ultima accusa è stata inventata per mettere gli operai contro l'opposizione che invece difende con tutte le sue forze l'unità del partito. Qualsiasi critica diretta contro gli errori menscevichi grossolani di Stalin (sulle questioni della Rivoluzione cinese, del comitato anglo-russo, etc.) è presentata come «anti-partito», mentre Stalin non ha mai chiesto l'opinione del partito sulla sua politica cinese e su altre questioni essenziali. Le accuse contro l'opposizione di voler creare un «secondo partito» sono lanciate da coloro che vorrebbero poter allontanare dal partito i bolscevichi-leninisti ed aver così «mano libera» per seguire la loro linea opportunista.

«VI. Attualmente, quasi tutta l'educazione del partito e tutto il lavoro elementare di educazione politica si riducono a tirare continuamente in ballo l'opposizione. Il metodo che consiste nel convincere è sostituito da quello che consiste nell'obbligare e inoltre, è tenuto in grande onore il metodo che consiste nello snaturare il partito.
Da quando l'educazione politica viene svolta in questa maniera, i militanti del partito se ne allontanano. La partecipazione alle scuole di partito e ai circoli nei quali ci si occupa continuamente dell'opposizione è minima. Il partito oppone una resistenza passiva al corso ufficiale, falso, dell'apparato del partito.

«VII - In questi ultimi tempi, non solo crescono il carrierismo, il burocratismo, la diseguaglianza nel partito, ma elementi ostili che non hanno niente in comune con la sua composizione di classe, si infiltrano nelle sue file..... Una lotta senza pietà contro queste tendenze è necessaria per poter conservare il partito.

«VIII - Frattanto il fuoco della repressione è diretto esclusivamente contro la sinistra. Le espulsioni di oppositori sono cosa comune e avvengono per motivi diversi: intervento nella propria cellula, interruzione violenta, tentativo di rendere pubblico il testamento di Lenin. Non è raro constatare che per livello politico e attaccamento al partito gli espulsi superino di gran lunga coloro che li hanno espulsi. Questi compagni che sono stati messi fuori dal partito perché mancavano di «fiducia» ed erano «pessimisti» nei riguardi di Ciang-Kai-scek e Purcell vivono sempre la vita del partito e gli restano fedeli molto di più dei molti funzionari di partito.

«IX - La valanga di misure repressive e di minacce che aumenta visibilmente nella misura in cui si avvicina la data del XV Congresso, ha lo scopo di impaurire il partito e significa che il gruppo unito
Stalin-Rykov, per nascondere gli errori politici commessi, utilizza le misure peggiori, mettendo sempre il partito di fronte al fatto compiuto. La linea politica del CC (che è stata instaurata al XIV Congresso da una solidarietà di principio con Stalin) è falsa. Il nucleo attuale del CC, vacillante, slitta continuamente a destra. L'annientamento della democrazia interna del partito è provocato da una linea errata, falsa nella sua stessa essenza. Questa linea, nella misura in cui riflette la pressione degli elementi piccolo-borghesi, l'influenza degli strati non proletari che circondano il nostro partito, può essere applicata solo mediante una repressione dall'alto. Per quanto riguarda il lato teorico, il monopolio è nelle mani della «scuola dei giovani», o, per meglio dire, nelle mani dei revisionisti i quali, in qualsiasi momento, sono pronti a svolgere i compiti letterari che fissa loro l'apparato. Nello stesso tempo, i migliori elementi della gioventù bolscevica, che sono impregnati della vera tradizione del partito bolscevico, non solo sono tenuti lontani da questo lavoro ma vengono pure perseguitati.
«Nel settore organizzativo, già da molto tempo l'Ufficio Politico dipende completamente dalla Segreteria, che a sua volta dipende dal Segretario generale. Così si è realizzato ciò che Lenin temeva di più. Nel suo testamento diceva: Stalin non sarà leale e non utilizzerà soltanto per il bene del partito quel «potere illimitato» che ha «concentrato nelle sue mani» (lettere di Lenin del 25/12/22 e del 4/1/23).
«Attualmente nel CC, come in altri organismi del partito e dello Stato, esistono tre tendenze fondamentali.
Prima tendenza. - Incontestabile deviazione di destra, questa tendenza è formata da due gruppi. Il primo col suo opportunismo riflette in larga misura le tendenze del contadino medio, «economicamente forte», si appoggia su questo e si ispira ai suoi desideri. Questo è il gruppo dei compagni Rykov, Smirnov, A.P. Kalinin, G. Petrovsky, Ciubar, Kaminsky e altri. Accanto ad essi lavorano i «senza partito» Kondratiev, Sadirin, Ciaianov e altri «uomini d'affari» politici dei contadini ricchi che sbandierano idee più o meno apertamente ustrialoviste. Ogni dipartimento, e talvolta persino i distretti, hanno i loro piccoli Kondratiev e Sadirin, che hanno nelle loro mani un po' di potere e godono di un po' d'influenza. L'altro gruppo è composto da strati di funzionari superiori dei sindacati che si appoggiano sui settori meglio retribuiti degli operai e degli impiegati. In particolare, questo gruppo ha tra le sue aspirazioni quella di un riavvicinamento a quelli di Amsterdam. Questo gruppo è formato da Tomsky, Meiniciansky, Dogadov ed altri. «Tra questi due gruppi avvengono scontri, tuttavia essi sono uniti dalla volontà comune di dare una sterzata a destra alla linea del partito e dello Stato in politica interna ed internazionale. Tutti e due si distinguono perché si distaccano dalle teorie leniniste e respingono la tattica della rivoluzione mondiale.
«Seconda tendenza, «centrista» e dell'apparato. Il gruppo è capeggiato dai compagni Stalin, Molotov, Uglanov, Kaganovic, Mikoyan, Kirov, che compongono il vero Ufficio Politico. Bukharin, con i suoi ondeggiamenti, «unifica» la politica di questo gruppo. Il gruppo centrista e dell'apparato, come tale, non esprime lo spirito delle masse, ma tenta — non senza successo — di farsi passare per il partito stesso. I «dirigenti» del partito, dei sindacati, degli organismi economici della cooperazione, dell'apparato statale, sono attualmente decine di migliaia. In questo settore c'è un numero rispettabile di burocrati «operai», transfughi dagli ambienti operai e che hanno perduto ogni legame con questi.
«E' inutile dire che negli organismi dirigenti, che hanno un'importanza formidabile per i destini della Rivoluzione, lavorano migliaia e migliaia di rivoluzionari veri, di operai che non hanno rotto i loro legami con le masse, che si sono votati completamente alla causa degli operai. E' su di essi che si appoggia il vero lavoro comunista in questi organismi.
«L'alterazione della linea politica e del regime interno del partito provoca una vera e propria burocrazia in numerosi settori. Il potere effettivo di questi settori è formidabile. Giustamente, è questa categoria di «dirigenti» che esige la «tranquillità», «un buon lavoro» e si dichiara sempre «contro la discussione». Giustamente, è già predisposta a dichiarare con soddisfazione (e talvolta credendolo sinceramente) che qui da noi «si è giunti quasi al socialismo», che noi abbiamo compiuto «i nove decimi del programma della rivoluzione socialista. Questo settore tonde a guardare il partito dall'alto e più ancora gli operai, i manovali, i disoccupati, gli operai agricoli. Vede il nemico principale a sinistra, nei rivoluzionari leninisti, e lancia la parola d'ordine: «Fuoco a sinistra! ».
«Per il momento, i gruppi di destra e di «centro» sono uniti dall'odio comune verso l'Opposizione. L'espulsione di quest'ultima non farebbe altro che trasferire la lotta tra questi due gruppi.
Terza tendenza: l'Opposizione. Essa rappresenta l'ala leninista nel partito. I miserabili tentativi di rappresentarla come un'opposizione di destra (attribuendole deviazioni socialdemocratiche etc.) sono fatti allo scopo di mascherare l'opportunismo proprio della maggioranza. L'Opposizione è per l'unità del partito. Per realizzare il suo programma che prevede l'espulsione dell'Opposizione, Stalin l'accusa di voler costituire un «secondo partito». A questa accusa l'Opposizione risponde: «Unità del PC leninista ad ogni costo». La piattaforma dell'Opposizione è qui esposta integralmente. Gli operai del partito e i veri elementi bolscevichi- leninisti la sosterranno.
«Nelle condizioni attuali che sono le più difficili, in cui l'Opposizione deve lottare per la causa di Lenin, è inevitabile che degli individui lascino le file dell'Opposizione. In tutte e tre le tendenze si verificheranno degli scambi di persone, ma questo non cambierà nulla.
«Tutto ciò, in blocco, crea la crisi del partito. Le divergenze interne del partito dopo la morte di Lenin si approfondiscono, si estendono, toccano questioni essenziali;.
«La volontà fondamentale delle masse del partito è l'unità. Il regime attuale impedisce loro di comprendere da quale parte provenga il vero pericolo che minaccia l'unità del partito. Tutte le macchinazioni di Stalin hanno In scopo di mettere la massa del partito, in qualsiasi questione essenziale e scottante, di fronte a questo dilemma: «non difendere la propria opinione o essere accusato di volere la scissione».
«Il nostro compito consiste nel mantenere l'unità del partito ad ogni costo, nel respingere ogni tentativo di scissione, di allontanamento, di espulsione, etc., e nello stesso tempo nel dare al partito la possibilità di esaminare e di risolvere liberamente le questioni controverse nel quadro di un partito unico.
«Dimostrando gli errori e le anomalie che attualmente esistono nel partito, l'Opposizione è profondamente convinta che lai massa essenziale del partito saprà, malgrado tutto, ricondurre di nuovo il partito sulla via leninsta, Il compito essenziale dell'Opposizione è quello di aiutarla nel realizzare questo obiettivo».

La lotta per l'industrializzazione del paese

Abbiamo già avuto l'occasione di notare che Lev Trotskij è stato il primo a porre in URSS la questione di una industrializzazione accelerata nel quadro di un piano per l'economia nel suo insieme. La leggenda staliniana, che Krusciov si guarda bene dal rinnegare, vorrebbe accreditare l'opinione che sono stati Stalin e i suoi collaboratori a lottare, dopo la morte di Lenin, per I'industrializzazione e per il piano contro una sedicente opposizione, Trotskij compreso.
La verità storica, in questo caso come in tutti gli altri, è esattamente l'opposto della versione staliniana. Trotskij e l'opposizionc di sinistra furono accusati fin dal 1924 di essere partigiani di una cosiddetta «superindustrializzazione» a danno dei «contadini». Tuttavia questa accusa non aveva mai impedito che essi lottassero da soli e conseguentemente per l'industrializzazione e il piano, come rimedi essenziali per evitare uno sviluppo unilaterale delle forze neocapitalistiche prodotte dalla NEP, per uno sviluppo armonico ed equilibrato dell'economia sovietica e per preparare una base materiale e tecnica adeguata ad una collettivizzazione ulteriore, effettiva e non amministrativamente forzata dell'economia agricola.
Ed ecco qui le prove di questa linea conseguente perseguita da Lev Trotskij e dall'Opposizione di Sinistra già dal 1922. Abbiamo visto che Trotskij ha posto la questione dell'industrializzazione sulla base di un piano già al XII Congresso del PCUS nel marzo 1922 e che il Congresso adottò questa posizione.
Ritornando su questa questione nel «Nuovo corso», Trotskij scriveva nel 1923: «Bisogna notare che molta gente ha ancor oggi idee puerili sulla questione del piano economico: «Non abbiamo bisogno — dicono — di molti (?!) piani; abbiamo già un piano per l'elettrificazione, lasciatecelo eseguire!» Questo ragionamento denota una totale incomprensione degli elementi stessi della questione. Il piano prospettico di elettrificazione è interamente subordinato ai piani prospettici dei settori fondamentali dell'industria, dei trasporti, delle finanze e, infine, dell'agricoltura. Tutti questi piani parziali debbono essere anzitutto visti nel loro insieme sulla base dei dati delle risorse e delle possibilità economiche di cui possiamo disporre.
«E' sul piano generale così impostato, mediante gli obiettivi annui (che comprendano le frazioni annue dei piani particolari per tre anni, cinque anni, ecc. e che rappresentino unicamente delle ipotesi) che può e deve basarsi l'organismo dirigente che assicuri la realizzazione del piano e vi apporti le necessarie modifiche nel corso della sua realizzazione. Pur non essendo rigida, la direzione non degenererà in una serie di improvvisazioni, nella misura in cui si baserà su una concezione generale logica del processo economico nel suo insieme e tenderà, introducendovi le necessarie modifiche, a compiere e a determinare il piano economico conformemente alle condizioni e alle risorse materiali.
«Questo è lo schema generale del piano nell'economia statale. Ma l'esistenza del «mercato» ne complica considerevolmente la realizzazione. Nelle regioni periferiche, l'economia statale si salda, o almeno cerca di saldarsi, con la piccola economia contadina. L'organo diretto della saldatura è il commercio dei prodotti della piccola e, in parte, della media industria; ed è solo indirettamente, parzialmente ed in seguito che entra in gioco la grande industria che serve direttamente lo Stato (esercito, trasporti, industria statale). L'economia contadina non è regolata da un piano, ma condizionata dal mercato che si sviluppa spontaneamente. Lo Stato può e deve agire su essa; farla avanzare, ma è ancora del tutto incapace di canalizzarla in un piano unico. Occorreranno ancora lunghi anni per arrivare a questo (verosimilmente grazie soprattutto alla elettrificazione). Per il periodo prossimo, che ci interessa direttamente, avremo un'economia statale diretta secondo un piano determinato che si salderà sempre di più col mercato contadino, e in seguito si adatterà a questo ultimo nella misura in cui si svilupperà.
Benché questo mercato si sviluppi spontaneamente, naturalmente, non se ne deve dedurre che l'industria statale debba adattarvisi spontaneamente. Al contrario, i nostri successi nell'organizzazione economica dipenderanno in gran parte dalla misura in cui, mediante una conoscenza esatta del mercato e delle previsioni economiche corrette, arriveremo a conciliare l'industria statale con l'agricoltura secondo un piano determinato. La concorrenza tra le diverse fabbriche o tra i trusts statali non altera il fatto che lo Stato è il padrone di tutta l'industria nazionalizzata e che come padrone, amministratore e direttore, considera la sua proprietà nel suo insieme rispetto al mercato contadino ».
Nel 1925, Trotskij, avendo momentaneamente creduto, dopo il XIV Congresso, che la direzione del partito avesse accettato la sua argomentazione su una industrializzazione accelerata, si mostrò più ottimista sull'avvenire. Egli esaminò in questi termini lo sforzo da fare in questa direzione: «Negli anni dell'anteguerra, la nostra industria cresceva in media del 6-7% l'anno. Questo coefficiente è abbastanza alto, ma appariva assolutamente insufficiente rispetto ai coefficienti di oggi quando l'industria aumenta del 40-50% l'anno. Tuttavia sarebbe un errore grossolano contrapporre semplicemente questi due coefficienti d'incremento. Fino allo scoppio della guerra, l'incremento dell'industria avveniva soprattutto mediante la costruzione di nuove fabbriche. Ora, questo avviene in forma diversa. E' assolutamente naturale che al momento della fine del processo di ricostruzione, il coefficiente di incremento scenda sensibilmente. Questa circostanza ha un'importanza straordinaria perché determina, in certa misura, la nostra situazione all'interno del mondo capitalistico. Sarà necessario che la lotta per il nostro posto socialista «al sole» sia, in un modo o nell'altro, una lotta per un coefficiente d'incremento di produzione più elevato possibile. Tuttavia la base e, nello stesso tempo, il valore-limite di questo incremento consiste nella massa disponibile di valori materiali.
«Ma se il processo di ricostruzione ristabilisce tra noi i vecchi rapporti tra l'agricoltura e l'industria, tra il mercato interno e quello estero (esportazione di grano e di materie prime, importazione di macchinari e di manufatti), ciò significa che esso tende anche a ristabilire il coefficiente d'incremento economico di anteguerra e che noi dovremmo scendere dal 40-50% di oggi al 0% di anteguerra? A questa domanda, non si può naturalmente dare ora una risposta precisa, tuttavia possiamo dire con sicurezza: con l'esistenza di uno Stato socialista, di un'industria socialista e di una regolamentazione sempre più fermamente stabilita dei processi economici fondamentali (di cui fanno parte l'importazione e l'esportazione), potremo conservare, anche dopo aver raggiunto il livello di anteguerra, un coefficiente d'incremento che supererà di gran lunga sia il nostro coefficiente di anteguerra che la media dei dati comparativi capitalistici ».
Trotskij considerava che «l'instaurazione del principio del piano di Stato nella tecnica di produzione che abbiamo appena introdotto, promette in un futuro assai vicino un aumento considerevole e sempre crescente del nostro coefficiente di produzione » (sottolineato da noi). Il piano, secondo Trotskij, sarebbe uno dei principali vantaggi dell'economia sovietica per assicurare un alto coefficiente di sviluppo industriale. D'altra parte, egli faceva già dipendere «il rinnovamento socialista dell'agricoltura» non «dalle cooperative considerate come forma pura di organizzazione ma dalle cooperative basate sull'industrializzazione dell'agricoltura, la sua elettrificazione e la sua industrializzazione generale». E aggiungeva: «Vale a dire che il progresso tecnico e socialista dell'agricoltura non può essere disgiunto da una preponderanza crescente dell'industria nell'economia generale del paese. E questo a sua volta significa che nello sviluppo economico futuro il coefficiente dinamico dell'industria supererà il coefficiente dinamico dell'agricoltura, prima lentamente, prima lentamente, poi sempre più velocemente, fino al momento in cui questa opposizione sarà scomparsa».
In quel periodo Stalin, alleato a Bukharin, si beffava apertamente dei coefficienti dal 15 al 18% formulati con prudenza dall'Opposizione di Sinistra come ritmo possibile da raggiungere per lo sviluppo annuo dell'industria, polverizzava i «piani fantastici dell'Opposizione» e dichiarava che l'industria non doveva «prendere troppo vantaggio staccandosi dall'agricoltura e trascurando il ritmo di accumulazione nel nostro paese».
Molotov, da parte sua, ripeteva: «Non si può lasciarsi andare (!) nelle condizioni presenti alle illusioni dei contadini poveri sulla collettivizzazione delle grandi masse ».
Ancora nell'aprile 1927 Stalin affermava in una seduta plenaria del CC che cominciare la costruzione della grande centrale elettrica del Dnieper avrebbe significato per l'URSS «come per il mugico dover acquistare un grammofono invece di una vacca».
Ma ecco, a questo proposito, cosa dice la «Piattaforma dell'Opposizione di Sinistra» (1927), che già abbiamo citato:

Quale deve essere il ritmo di sviluppo dell'industria

«La vera base materiale del socialismo può essere soltanto la grande industria meccanica, capace di riorganizzare l'agricoltura » (Lenin).
« La condizione indispensabile del nostro sviluppo socialista, nella sua attuale fase primitiva, nella situazione storica dei momento— vale a dire con l'accerchiamento capitalista e con il ritardo della rivoluzione mondiale — consiste in un ritmo dell'industrializzazione che risolva, nel prossimo periodo, almeno i seguenti problemi:
« 1 — Le posizioni materiali del proletariato del nostro paese debbono, in alcuni settori, rafforzarsi in maniera assoluta e in altri in maniera relativa (aumento del numero degli operai occupati, diminuzione del numero dei senza lavoro, incremento del livello materiale degli operai e, in particolare, aumento della superficie abitabile secondo una norma igienica).
« 2 — II lavoro dell'industria, dei trasporti e delle centrali elettriche deve almeno aumentare tanto da non restare indietro alle necessità crescenti e alle risorse del paese nel loro insieme.
« 3 — L'agricoltura deve raggiungere sensibilmente una base tecnica più elevata e garantire all'industria una base di materie prime agricole sempre crescente.
« 4 — Nel campo del livello dello sviluppo delle forze produttive, della tecnica, dell'incremento del benessere materiale degli operai e dei lavoratori in generale dell'URSS, occorre che, fin dai prossimi anni, non restiamo indietro ai paesi capitalisti, ma che li raggiungiamo.
« 5 — L'industrializzazione deve garantire la difesa del paese e in particolare lo sviluppo necessario dell'industria di guerra.
« 6 — Gli elementi di socialismo dell'economia di Stato e della cooperazione debbono svilupparsi sistematicamente, eliminando certi elementi dell'economia pre-socialista (capitalistici e pre-capitalistici), sottomettendo e trasformando gli altri.
« Malgrado gli importanti progressi nel settore dell'industria, della elettrificazione e dei trasporti, l'industrializzazione è ancora lontana dall'aver raggiunto il livello di sviluppo indispensabile e possibile. Il ritmo attuale dell'industria e quello tracciato per i prossimi anni sono nettamente insufficienti.
« E' evidente che non esiste e non può esistere una politica che permetta di vincere in un sol colpo tutte le difficoltà e di scavalcare un lungo periodo di sviluppo dell'economia e della cultura. Ma la situazione arretrata della nostra economia e della nostra cultura esige una tensione straordinaria delle nostre forze e dei nostri mezzi, una mobilitazione razionale e opportuna di tutte le riserve per l'industrializzazione rapida del paese.
« II ritardo cronico della nostra industria, come dei trasporti, della elettrificazione e delle costruzioni sulla base delle domande e dei bisogni della popolazione, dell'economia nazionale e del sistema sociale dell'URSS nel suo insieme, paralizza tutto il giro economico, restringe la realizzazione della parte commerciale della produzione agricola e della sua esportazione, mantiene l'importazione in un quadro ristretto, fa crescere i prezzi al di sopra dei prezzi di costo, crea l'instabilità del cervonez., frena lo sviluppo delle forze produttive, ritarda la crescita del benessere materiale delle masse operaie e contadine, provoca un accrescimento pericoloso dei disoccupati, un aggravamento delle condizioni di alloggio, nuoce alla saldatura tra l'industria e l'economia agricola e diminuisce la capacità di difesa
del paese.
«Il ritmo insufficiente dello sviluppo dell'industria provoca a sua volta un ritardo nell'incremento dell'economia rurale».

La critica del progetto di piano presentata dalla direzione Stalin-Bukharin

«La questione concernente un piano per una durata di cinque anni dello sviluppo dell'economia nazionale che figura all'ordine del giorno del XV Congresso, deve divenire, e a ragione, il centro
dell'attenzione del partito. Il progetto della commissione del piano di Stato non è stato ancora ufficialmente adottato ed è poco probabile che lo sia nella sua forma attuale. Ma esso rivela nondimeno l'espressione più sistematica e più compiuta della direzione dell'economia.
«Le spese per investimenti nell'industria, secondo il piano, non aumentano quasi di anno in anno (1.142 milioni per l'anno prossimo, 1.205 milioni per il 1931) e in rapporto alla somma totale investita
nell'economia nazionale cadono dal 36,4% al 27,8%. Le somme prelevate dal bilancio dello Stato e versate nell'industria cadono nel corso di questi anni da quasi 200 milioni a 90 milioni di rubli.
«L'aumento della produzione è previsto dal 4 al 9% annuo, e questo è il ritmo dei paesi capitalisti nel periodo di rapida crescita. I vantaggi giganteschi della nazionalizzazione delle terre, dei mezzi
di produzione, delle banche e della centralizzazione delle direzioni, cioè i vantaggi della rivoluzione socialista, non hanno quasi per niente influenzato il piano quinquennale».

Dove trovare i mezzi per l'industrializzazione

«Alla domanda: « Dove trovare i mezzi indispensabili per risolvere più energicamente, alla maniera rivoluzionaria, i compiti di una vera industrializzazione, per accentuare lo spirito culturale delle masse da cui dipendono le sorti della dittatura socialista», l'opposizione risponde:
«La fonte principale per trovare i fondi indispensabili è una nuova distribuzione del reddito nazionale, una utilizzazione razionale del bilancio dei crediti, dei prezzi. Una corretta utilizzazione dei rapporti con l'economia mondiale deve fornirci i mezzi supplementari. E' falso dichiarare che il ritmo dello sviluppo dell'industrializzazione sia influenzato direttamente dalla mancanza di mezzi. I mezzi non sono grandi, ma esistono. Occorre avere una politica corretta!
«Il piano di Stato quinquennale deve essere respinto e condannato come incapace di adeguarsi al compito di «trasformare la Russia della NEP in Russia socialista».
«Nel bilancio 1927-28, occorre aumentare i mezzi per la difesa (soprattutto per l'industria bellica), per l'industria in generale, per la elettrificazione, per i trasporti, per la costruzione di alloggi, per la collettivizzazione dell'agricoltura.
« Respingere energicamente tutti i tentativi tendenti a sopprimere il monopolio del commercio estero. Impegnarsi fermamente sulla via dell'industrializzazione, dell'elettrificazione, della razionalizzazione, su quella dell'elevazione della forza tecnica dell'economia, sulla via del miglioramento della situazione materiale delle masse».
Questa era la situazione nel partito e nel paese alla fine del 1927, quando l'Opposizione di Sinistra fu formalmente messa al bando e i suoi dirigenti espulsi dal partito. La difesa delle opinioni espresse nella piattaforma che abbiamo citato fu dichiarata incompatibile con l'appartenenza al partito.
La repressione impiegata dall'apparato consolidato di Stalin si scatenò contro i «trotskisti» sia in URSS che in tutti i partiti della III Internazionale. A migliaia, gli oppositori in URSS presero la via della deportazione.
Zinoviev e Kamenev, espulsi, capitolarono immediatamente davanti a Stalin per restare ad ogni costo nel partito. Ma questo non impedì a Stalin di espellerli di nuovo in seguito, di riammetterli e infine di intentare loro il famoso processo di Mosca del 1936 nel quale, dopo aver «confessato» i loro «crimini» fantastici, furono condannati a morte e giustiziati.
Parecchi altri dirigenti della sinistra capitolarono in questo periodo di fronte alla repressione inaudita che si scatenò in URSS. Nessuno di essi però riuscì a sfuggire in seguito allo sterminio fisico. Un'altra ragione spinse molti di essi a giustificare la loro capitolazione. Essi pensavano che Stalin avesse cambiato linea e si fosse avvicinato alle tesi dell'Opposizione di sinistra.
Dopo aver combattuto il programma dell'Opposizione di Sinistra ed espulso i suoi dirigenti con la tacita complicità di Bukharin, Stalin si rivolse bruscamente contro la destra, adottando empiricamente molte tesi dell'Opposizione di Sinistra. Egli «scoprì» così i pericoli che provenivano dall'accrescimento unilaterale delle forze neocapitaliste, prodotte dalla NEP, dalla proliferazione dei kulak nelle campagne, e si dichiarò a favore di un'industrializzazione accelerata e per la collettivizzazione dell'economia agricola.
«L'industrializzazione fu messa all'ordine del giorno», scrive Trotskij. «Il quietismo, soddisfatto di sé; fece posto a una impetuosità panica. La parola d'ordine di Lenin, a metà dimenticata, «raggiungere e superare» fu completata in questi termini: «nel tempo più breve possibile». Il piano quinquennale minimalista, già approvato in linea di principio dal XV Congresso del partito, fece posto ad un nuovo piano, i cui elementi principali erano interamente presi a prestito dalla piattaforma dell'Opposizione di Sinistra, sconfitta alla vigilia. Il Dnieprostroi, paragonato ieri a un grammofono, attirò tutta l'attenzione».
La svolta economica è accompagnata da un attacco contro la destra, la cui esistenza veniva negata da Stalin fino all'ottobre 1928. Ancora in quell'epoca, Stalin infatti dichiarava: «E' tempo di finirla con le chiacchiere sull'esistenza di una destra verso la quale l'Ufficio Politico del nostro partito si mostrerebbe tollerante».
Ma qualche giorno più tardi la stampa ufficiale pubblicava strani commenti su Rikov, capo del governo, accusato di «speculare sulle difficoltà del potere dei Soviet», su Bukharin, dirigente dell'Internazionale Comunista, che si era rivelato «agente delle influenze liberal-borghesi», su Tomsky, presidente del Consiglio Centrale dei sindacati, che non era altro che un «miserabile trade-unionista». Tutti e tre, Rikov, Bukharin e Tomsky, appartenevano all'Ufficio Politico. Furono subito allontanati da tutte le loro cariche e pubblicamente umiliati dalla frazione staliniana trionfante.
La lotta contro la destra fu condotta da Stalin politicamente sulla base di argomenti presi a prestito dall'Opposizione di Sinistra, ma in forme burocratiche che questa non aveva mai preconizzato contro nessuna tendenza politica del partito.
La vittoria completa di Stalin, portavoce della burocrazia in ascesa, sul partito di Lenin data da allora. Stalin aveva «schiacciato il «trotskismo controrivoluzionario» e «smascherato la natura kulak, antileninista degli opportunisti di destra». Ma il partito di Lenin non esisteva più! La disfatta amministrativa, nel partito, delle tendenze di sinistra e di destra, ottenuto verso il 1930, fu la condizione necessaria per il consolidamento del potere assolutista di Stalin. E' questo che il rapporto Krusciov si guarda bene di indicare chiaramente. Fu riservato a Stalin, munito di un potere ormai praticamente incontrollabile, di scrivere negli anni '30 un capitolo della storia dell'URSS che Krusciov evita ugualmente di ricordare: quello della collettivizzazione forzata, realizzata al tempo del I Piano quinquennale e che i contadini sovietici non potranno mai dimenticare.
Così Trotskij descrive questo capitolo fondamentale della storia dell'URSS:
«Nel novembre 1929, Stalin, vincendo le sue esitazioni, annuncia la fine dell'agricoltura particellare: «a villaggi interi, a distretti, a circoscrizioni persino, i contadini entrano nei kolkhoz». Yakovlev, che due anni prima dimostrava che i kolkhoz non sarebbero stati per lunghi anni che «oasi in mezzo a innumerevoli aziende particellari», riceve in qualità di commissario del popolo all'agricoltura la missione di «liquidare i contadini ricchi come classe» e di stabilire la collettivizzazione completa «nel più breve tempo possibile». Nel '29, il numero delle famiglie entrate nei kolkhoz passa dall'l,7% al 3,9%: raggiunge il 23,6% nel '30, il 52,7% nel '31 e il 61,5% nel '32.
Non si troverà verosimilmente nessuno disposto a ripetere il guazzabuglio liberale, secondo cui la collettivizzazione sarebbe stata interamente frutto della sola violenza. Nella lotta per la terra di cui erano privi, i contadini si sollevavano una volta contro i signori e talora andavano a colonizzare delle contrade vergini: o formavano sette religiose, che compensavano il mugico della mancanza di terra con il vuoto dei cieli. Dopo la espropriazione delle grandi proprietà e l'estremo spezzettamento delle aziende particellari, l'unificazione di queste ultime in unità colturali più estese era divenuta una questione di vita o di morte per i contadini, per l'agricoltura, per la società intera.
Questa considerazione storica generale, tuttavia, non risolveva la questione. Le possibilità reali della collettivizzazione non erano determinate né dalla situazione senza via d'uscita dei coltivatori, né dalla energia amministrativa del governo; lo erano, prima di tutto, dalle risorse produttive date, cioè dalla misura in cui l'industria poteva fornire attrezzature alla grande impresa agricola. Questi dati materiali facevano difetto. I kolkhoz furono organizzati con un'attrezzatura che il più delle volte era adatta alle aziende particellari. In queste condizioni, la collettivizzazione esageratamente spinta diventava un'avventura.
Il governo, sorpreso dall'ampiezza della sua svolta, non potè né seppe preparare politicamente, in nessuna misura, la nuova evoluzione. Come i contadini, le autorità locali non sapevano cosa si volesse da loro. I contadini furono esasperati dalle voci di «confisca» del bestiame. Non erano voci così lontane dal vero, come si vide presto. Il disegno, una volta attribuito all'opposizione per fare la caricatura delle sue idee, si realizzava: la burocrazia «saccheggiava le campagne». La collettivizzazione fu, anzitutto, per il contadino una espropriazione completa. Si socializzavano non solo i cavalli, le vacche, i montoni, i maiali, ma persino i pulcini. «Si espropriavano ai kulak — un testimone oculare l'ha scritto all'estero — persino gli stivaletti di feltro tolti ai bambini». Il risultato di tutto questo fu che i contadini vendettero in massa il bestiame a basso prezzo e lo macellarono per ricavarne carne e cuoio.
Nel gennaio 1930, Andreev, membro del Comitato Centrale, tracciava al congresso di Mosca il seguente quadro della collettivizzazione: da una parte, il potente movimento di collettivizzazione che ha guadagnato il paese intero «travolgerà nel suo cammino tutti gli ostacoli», dall'altra, la vendita da parte dei contadini, alla vigilia di entrare nei kolkhoz, per brutale spirito di lucro, dei loro attrezzi e anche delle sementi «assume proporzioni decisamente minacciose...». Per contraddittorie che fossero, queste due affermazioni definivano con esattezza, da due punti di vista opposti, il carattere epidemico della collettivizzazione, misura disperata. «La collettivizzazione completa — scriveva l'osservatore critico che abbiamo già citato — ha gettato l'economia in una miseria quale non si era vista da tempo; è come se fosse passata una guerra di tre anni ».
A venticinque milioni di aziende contadine isolate ed egoistiche, che ancora ieri costituivano i soli motori dell'agricoltura — deboli come la rozza del mugico, ma pur sempre dei motori, — la burocrazia tentò di sostituire con un solo gesto il comando di duecentomila consigli di amministrazione dei kolkhoz, sprovvisti di mezzi tecnici, di conoscenze agronomiche e di appoggio tra i rurali stessi. Le conseguenze distruttrici di questa avventura non tardarono a farsi sentire per durare degli anni. Il raccolto globale di cereali, che aveva raggiunto nel 1930 835 milioni di quintali, cadde nei due anni seguenti al di sotto di 700 milioni. Questa differenza non appariva catastrofica di per se stessa; ma significava proprio la perdita della quantità di grano necessario alle città prima che si abituassero a razioni di carestia. Le colture tecniche erano in condizioni ancora peggiori. Alla vigilia della collettivizzazione la produzione dello zucchero aveva raggiunto 109 milioni di pud circa (il pud equivale a 16,8 Kg.) per cadere due anni più tardi, in piena collettivizzazione completa, in seguito alla mancanza di barbabietole, a 48 milioni di pud, cioè a meno della metà. Ma l'uragano più devastatore passò sul patrimonio del bestiame. Il numero dei cavalli cadde del 55%: da 34,6 milioni del 1929 a 15,6 milioni nel '34; il bestiame a corna cadde da 30,7 milioni a 19,5, cioè del 40%; i maiali del 55%, i montoni del 66%. Le perdite in vite umane — per la fame, per il freddo, in seguito alle epidemie e alle repressioni — non sono state disgraziatamente registrate con la stessa esattezza delle perdite di bestiame: ma ammontano egualmente a milioni. La responsabilità di questo incombe non alla collettivizzazione, ma ai metodi ciechi, improvvisati e violenti con cui la si applicò. La burocrazia non aveva previsto niente. Lo statuto stesso dei kolkhoz, che tentava di legare l'interesse individuale del contadino all'interesse collettivo, fu pubblicato solo dopo che le campagne erano state crudelmente devastate.
La precipitazione di questa nuova politica risultava dalla necessità di sottrarsi alle conseguenze di quella del 1923-28. La collettivizzazione poteva e doveva, tuttavia, avere un ritmo più ragionevole e forme meglio calcolate. Padrona del potere e dell'industria, la burocrazia poteva regolare la collettivizzazione senza condurre il paese sull'orlo dell'abisso. Si poteva e doveva adottare un andamento meglio corrispondente alle risorse materiali e morali del paese. «In condizioni interne e internazionali soddisfacenti — scriveva nel 1930 l'organo dell'Opposizione di Sinistra all'estero — la situazione materiale e tecnica dell'agricoltura può essere radicalmente trasformata in 10 o 15 anni e assicurare alla collettivizzazione una base nella produzione. Ma nel corso degli anni che ci separano da una situazione simile si può riuscire a rovesciare più volte il potere dei Soviet...».
Questo avvertimento non era esagerato: mai sinora il soffio della morte era spirato così minaccioso sul territorio della Rivoluzione d'Ottobre come negli anni della collettivizzazione completa. Il malcontento, l'incertezza, la repressione straziavano il paese. Un sistema monetario disorganizzato; la sovrapposizione dei prezzi massimi fissati dallo Stato, dei prezzi «convenzionali», dei prezzi del mercato libero; il passaggio da un simulacro di commercio tra lo Stato e i contadini ad imposte in cereali, carne e latte; la lotta a morte contro i furti innumerevoli dei beni dei kolkhoz e contro la dissimulazione di questi furti; la mobilitazione puramente militare del partito per combattere il sabotaggio dei kulak dopo la «liquidazione» dei kulak come classe; allo stesso tempo, il ritorno al sistema delle tessere alimentari e alle razioni di carestia, il ristabilimento, infine, dei passaporti interni — tutte queste misure riportavano il paese all'atmosfera della guerra civile chiusa da lunga data.
Il rifornimento di materie prime per le industrie peggiorava di trimestre in trimestre. Le intollerabili condizioni di esistenza determinavano la fluidità della manodopera, le assenze dal lavoro, la trascuratezza nel lavoro, la rottura delle macchine, la percentuale elevata di scarti, la cattiva qualità dei prodotti. Il rendimento medio del lavoro cadde nel 1931 dell'll,7%. Secondo un'ammissione sfuggita a Molotov e riprodotta da tutta la stampa sovietica, la produzione industriale non aumentò nel 1932 che dell'8,5% invece del 36% previsto dal piano. E' vero che il mondo apprese poco dopo che il piano
quinquennale era stato eseguito in quattro anni e tre mesi. Ciò significa solo che il cinismo della burocrazia nei confronti delle statistiche e l'opinione pubblica non ha confini. Ma il punto più importante non è questo: la posta in gioco non era il piano quinquennale, ma la sorte del regime.
Il regime resse. Il merito spetta al regime stesso, perché ha gettato profonde radici nell'humus popolare. Il merito spetta egualmente alle circostanze esterne favorevoli. In quegli anni di caos economico e di guerra civile nelle campagne, l'URSS si trovò in realtà paralizzata di fronte al nemico esterno. Il malcontento dei contadini si estendeva all'esercito. L'incertezza e l'instabilità demoralizzano la burocrazia e i quadri del comando. Un'aggressione all'ovest e all'est poteva avere conseguenze fatali.
Per fortuna i primi anni della crisi industriale e commerciale gettavano il capitalismo in una aspettativa disorientata. Nessuno era pronto alla guerra, nessuno osava correre un simile rischio. D'altronde, nessuno degli avversari dell'URSS si rendeva conto del tutto chiaramente della gravità delle convulsioni sociali che sconvolgevano il paese dei Soviet sotto i colpi di cimbali delle orchestre ufficiali in onore della «linea generale».
(La Rivoluzione tradita ed. it. Pag. 59-63)

Conclusioni

1— II potere assolutista di Stalin, che ha permesso i suoi crimini, si è forgiato nella lotta iniziata immediatamente dopo la morte di Lenin, contro Trotskij e l'Opposizione di Sinistra.
2 — Questo potere si è consolidato verso il 1930 in seguito alla vittoria amministrativa riportata da Stalin nel 1927, al XV Congresso del PC, contro l'Opposizione di Sinistra e alla distruzione successiva della Opposizione di Destra.
3 — Queste vittorie di Stalin furono ottenute sulle rovine della democrazia proletaria che caratterizzava il PC sovietico al tempo di Lenin, mediante violenze e arbitri burocratici.
4 — Socialmente, queste vittorie riflettevano l'ascesa nell'apparato dello Stato e del partito degli strati privilegiati della burocrazia a detrimento delle masse.
5 — Storicamente, questi strati si formarono grazie alle condizioni economiche arretrate che caratterizzavano l'URSS prima del periodo dei piani e dell'industrializzazione, all'isolamento dell'URSS nel quadro dell'arretramento generale della rivoluzione mondiale a partire dal 1923, ed anche per la pressione esercitata dalle forze neocapitalistiche che aveva prodotto lo sviluppo unilaterale Della NEP. Nel periodo 1924-28, Stalin si adattò a queste condizioni e alle forze che lo portavano avanti, e concentrò il fuoco contro la Opposizione di Sinistra che lottava per l'industrializzazione e per il Piano legati al miglioramento delle condizioni di vita delle masse e per la democrazia proletaria.
6 — Dopo queste « vittorie », Stalin regnò al vertice di una piramide degli strati burocratici come capo bonapartista circondato da una équipe che rappresentava la direzione politica di questi strati.
7 — II processo intentato ora contro Stalin è in realtà contro la burocrazia sovietica, sulla quale si basava il potere di Stalin contro le masse.
8 — Da questo punto di vista, il «ritorno a Lenin» deve significare il ritorno alla democrazia proletaria nel paese e nel partito, togliendo alla burocrazia il potere politico che detiene attualmente.
9 — La democrazia proletaria nel paese significa:
— Soviet democratici, eletti proporzionalmente da tutte le correnti politiche dei lavoratori sovietici, e i cui membri saranno revocabili in ogni momento da parte degli elettori.
— Legalizzazione di tutti i partiti sovietici che si muovono nel quadro della difesa delle conquiste economiche e sociali della Rivoluzione; legalizzazione senza la quale la democrazia proletaria resta soltanto un inganno per i lavoratori.
— Governo designato dal Soviet nazionale supremo, l'Assemblea democratica pansovietica, realmente responsabile davanti ad esso.
— Sindacati effettivamente indipendenti dallo Stato e al servizio degli interessi dei lavoratori.
— Controllo e gestione effettiva dell'economia nelle fabbriche e nei kolkhoz e a tutti i livelli da parte dei lavoratori.
10 — La democrazia proletaria del partito significa:
— Eleggibilità di tutte le cariche e con voto segreto, non nomina dall'alto.
— Diritto alle tendenze ideologiche e alla loro rappresentanza proporzionale a tutti i livelli.

Il Segretariato Internazionale della IV Internazionale

Giugno 1956