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Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov



Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(ed. bandiera rossa 1965)
LE DEMOCRAZIE POPOLARI

La Risoluzione sulla natura di classe dei paesi dell'Europa orientale analizza la portata e il significato dei mutamenti strutturali profondi verificatisi nell'Europa orientale dopo la svolta del 1948, mutamenti che avevano implicato la distruzione dei rapporti capitalistici e l'istituzione di rapporti di tipo collettivistico. Un riesame delle valutazioni del II congresso, alla luce dei nuovi sviluppi, era stato peraltro intrapreso già a partire da una sessione del Comitato esecutivo internazionale dell'aprile 1949.
La risoluzione che riproduciamo e stata votata dal III Congresso Mondiale.

L'evoluzione dei paesi dell'Europa Orientale dopo il 1949 si è svolta nel senso di un'integrazione accelerata nell'orbita economica e politica dell'URSS. Sul piano economico questa evoluzione ha seguito una linea fondamentale di inizio di coordinazione e di pianificazione effettiva tra le loro economie e quella dell'URSS, diminuendo considerevolmente la loro dipendenza dall'economia e dal mercato capitalista internazionale. Dal 1949 si assiste alla applicazione di una serie di piani a lunga portata (5-6 anni), che, via via che si realizzano, staccano questi paesi da una parte dei loro legami con il mercato esterno capitalista e fondono progressivamente la loro economia in un tutto più o meno organicamente legato all'economia pianificata dell'URSS. Questi piani seguono la statizzazione effettiva della quasi totalità dell'industria pesante e leggera, del commercio estero, di settori importanti del commercio interno, dei trasporti e una serie di misure restrittive della proprietà e del mercato privato nell'agricoltura; e seguono pure l'esecuzione, in generale riuscita, dei primi piani di breve durata (da 1 a 3 anni), che hanno permesso la restaurazione dell'economia ai livelli dell'anteguerra e la riparazione delle distruzioni causate dalla guerra. L'economia statizzata è retta ormai, come in URSS, dagli imperativi del piano.
Questi sviluppi hanno già provocato un rovesciamento della tendenza precedente per quanto riguarda gli scambi di questi paesi con il mercato capitalista internazionale. Attualmente gli scambi di questi paesi tra loro e con l'URSS occupano più della metà del loro commercio estero e si vanno amplificando in questo senso.
Sul piano sociale, l'apparato statale si assimila sempre di più a quello dell'URSS per mezzo della creazione — soprattutto dopo la fine del 1949 — di comitati popolari burocratici e della installazione più spinta a tutti i gradi di elementi «sicuri», che godono la fiducia della burocrazia sovietica e che sostituiscono progressivamente i vecchi elementi borghesi. Questi elementi si reclutano ora con un ritmo accelerato nella nuova aristocrazia operaia, che il regime favorisce con i suoi metodi di rimunerazione del lavoro, con il movimento stakhanovista ecc.
L'apparato statale si «sovietizza» sia nella forma che nella sua composizione sociale, imitando le forme proprie dell'apparato statale dell'URSS e reclutando i suoi funzionari nei nuovi strati privilegiati. Esso si «russifica» d'altra parte, ponendo nei posti decisivi — sia nella amministrazione civile, politica ed economica, sia nella polizia e nell'esercito — degli elementi direttamente maneggiati dal Kremlino e talvolta autentici funzionari russi con la nazionalità presa a prestito.
Sul piano politico infine, se la sorte di questi paesi non è ancora decisa in senso storico, la stessa cosa non vale per la loro sorte immediata. E' chiaro che l'evoluzione della situazione internazionale non si svolge nel senso di un compromesso esteso tra l'imperialismo e la burocrazia sovietica, compromesso che potrebbe porre in giuoco la posizione di questi paesi, ma, al contrario, nel senso di una preparazione accelerata della guerra e ciascuno tende a consolidare la propria zona. Solo il caso della zona sovietica dell'Austria, che resta per il momento parte integrante dello stato austriaco e per cui un compromesso prossimo con il ritiro delle truppe di occupazione non è ancora escluso, e il caso dell'Albania senza legame diretto con il resto della zona sovietica e senza base economica, potrebbero costituire un'eccezione. Al contrario la recentissima evoluzione della Germania orientale, la struttura e l'applicazione del piano quinquennale e le modificazioni profonde apportate all'apparato statale sono piuttosto un indice che Mosca, perduta la speranza di un compromesso generale, in particolare sulla Germania, si incammina verso l'integrazione decisiva di questa zona nell'Europa Orientale. Non è tuttavia meno vero che la struttura economica e politica di questa zona resta lontana da quella degli altri paesi della zona sovietica. D'altra parte l'insieme dei mutamenti economici, sociali e politici intervenuti in tale zona, ha preso una tale ampiezza che la reintegrazione di questi paesi nell'orbita capitalistica non potrebbe più essere prospettata come possibile «a freddo», ma solo per mezzo di una vera controrivoluzione capitalista, (possibile eccezione la Germania). L'esempio della guerra civile che infuria attualmente in Albania, (che è del resto l'anello di gran lunga più debole di tutto il sistema) tra le forze della reazione indigena e dell'imperialismo e le forze del regime, è probante.
Tenendo conto di tutte queste modifiche apportate dopo il 1949 tanto all'economia che all'apparato statale di tali paesi, nel quadro di una situazione internazionale nuova, bisogna considerare che l'assimilazione strutturale di questi paesi all'URSS è ora essenzialmente compiuta e che questi ultimi hanno cessato fondamentalmente di essere dei paesi capitalisti. La loro presa sotto tutela da parte della burocrazia sovietica all'indomani della guerra mondiale, l'influenza e il controllo determinante della burocrazia includevano la possibilità ed anche, alla lunga, l'inevitabilità della loro assimilazione strutturale all'URSS, in funzione di un certo rapporto di forze all'interno e all'esterno tra la burocrazia sovietica, la borghesia indigena, l'imperialismo e le masse. Per un lungo periodo (in generale dal '45 al '48 circa) la burocrazia sovietica ha mantenuto questi paesi in una posizione intermedia di grado mutevole, poiché non considerava ancora la sua rottura con l'imperialismo come consumata e poiché si era trovata nella necessità di sbarazzarsi della borghesia indigena «a freddo », senza una vera azione rivoluzionaria delle masse, su cui essa doveva contemporaneamente stabilire un controllo rigoroso. Questa posizione intermedia corrispondeva sociologicamente sempre più ad un regime di dualismo di potere sia sul piano economico che su quello politico, la struttura economica restando fondamentalmente capitalista. E' a partire dal '49 che questo dualismo lascia manifestamente il posto a dei regimi che stabiliscono una struttura essenzialmente caratterizzata da rapporti di produzione e proprietà qualitativamente assimilabili a quelli dell'URSS cioè caratteristici di un'economia essenzialmente statizzata e pianificata (ad eccezione della zona sovietica dell'Austria, dove esistono ancora elementi di dualismo di potere).
Parallelamente a questo processo, il potere politico, a lungo assunto da diverse combinazioni tra i dirigenti staliniani e i rappresentanti dei vecchi partiti borghesi e piccolo-borghesi, è passato esclusivamente nelle mani degli staliniani e si è trasformato nella forma e nella composizione sociale. La forma del potere politico resta ancora segnata da differenze importanti tra un paese e l'altro e tra questi paesi nel loro insieme e l'URSS, come del resto è il caso della forma del potere politico in regime capitalista. Ma è soprattutto in ragione della loro stessa base economica, della struttura essenzialmente comune a tutti questi paesi, caratterizzata da nuovi rapporti di produzione e di proprietà propri di un'economia statizzata e pianificata essenzialmente simile a quella dell'URSS, che noi dobbiamo considerare questi stati come stati operai deformati. Questi stati non sono sorti dall'azione rivoluzionaria delle masse, ma dall'azione burocratico-militare della burocrazia sovietica, con il favore di circostanze eccezionali, create dall'ultima guerra, e sono gestiti non direttamente dal proletariato, ma da una burocrazia. La deformazione burocratica di questi stati è importante come quella dell'URSS poiché il proletariato, come in URSS, è totalmente escluso dal potere politico. Come in URSS per conseguenza, si pone come compito dell'avanguardia rivoluzionaria una rivoluzione politica per rovesciare la burocrazia e aprire la strada al libero sviluppo del socialismo.
L'evoluzione ulteriore di questi paesi e il loro prossimo avvenire sono legati ora alla sorte del conflitto in preparazione tra l'imperialismo e l'URSS, questi paesi, la Cina, le altre rivoluzioni coloniali, il movimento operaio internazionale.
Tenendo conto del carattere di classe di questi paesi e dei fini reazionari della guerra imperialista, la IV Internazionale non è né neutrale né indifferente circa la difesa di questi paesi contro l'imperialismo. Essa considera che la loro struttura di economia statizzata e pianificata è una conquista da salvaguardare contro l'imperialismo, indipendentemente dalla politica dei governi staliniani di questi paesi. Ciò non significa in nessun caso l'abbandono della nostra opposizione politica né la subordinazione a questa difesa della nostra lotta per la rivoluzione mondiale. E' vero il contrario. La IV Internazionale, all'interno di questi paesi, fa fronte comune con le masse proletarie e contadine povere in lotta contro l'oppressione nazionale, imposta dal controllo della burocrazia sovietica, e contro il loro sfruttamento e si pronuncia per l'indipendenza totale di questi paesi e la loro organizzazione in una federazione libera.
In tutte le prese di posizione antecedenti sulla natura di classe dei paesi dell'Europa Orientale, la IV Internazionale ha sottolineato la tendenza all'assimilazione strutturale all'URSS e lo stato transitorio in cui essi si trovavano. Abbiamo d'altra parte indicato sin dall'inizio che, con certi rapporti di forza tra la burocrazia sovietica, l'imperialismo e le masse, la burocrazia avrebbe anche potuto portare a termine questa assimilazione. Durante tutto un periodo ('45-48) era effettivamente impossibile rilevare un tale rapporto di forze favorevole alla burocrazia e per conseguenza considerare la sorte di tali paesi come segnata per l'avvenire immediato.
Tuttavia è necessario riconoscere che l'Internazionale si è trovata impedita in una valutazione esatta dell'evoluzione di tale zona, del ritmo e dell'ampiezza dell'assimilazione a causa di una serie di considerazioni restrittive come quelle indicate nelle «Tesi sull'URSS e lo stalinismo» del II Congresso Mondiale, le quali affermavano che «la vera distruzione del capitalismo (nell'Europa Orientale) non era possibile che attraverso la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e l'eliminazione delle forme particolari di sfruttamento che la burocrazia ha introdotto». D'altra parte nella risoluzione nel VII Plenum del CEI (maggio 1949) su «L'evoluzione dei paesi dell'Europa Orientale», dove abbiamo considerato più positivamente la prospettiva possibile di una assimilazione strutturale compiuta a mezzo dell'azione della burocrazia staliniana, insistevamo ancora sulla «soppressione delle frontiere, sia che si effettuasse con l'incorporamento di certi o di tutti questi paesi nell'URSS, sia che si effettuasse con la costituzione di una federazione balcanico-danubiana, formalmente indipendente dall'URSS, ma vero quadro unificato per la pianificazione dell'economia».
Si è verificato che l'azione rivoluzionaria delle masse non è una condizione indispensabile perché la burocrazia distrugga il capitalismo in condizioni eccezionali analoghe e in un clima internazionale come quello della guerra fredda. Ciò non significa che la burocrazia si sia privata del tutto dell'azione delle masse per distruggere la borghesia. Essa le ha mobilitate burocraticamente con un'ampiezza variabile secondo le circostanze, organizzandole, per es., in «comitati» di tutte le specie, che hanno avuto un ruolo nel disarmo della borghesia e nella sua espropriazione.
Questa mobilitazione burocratica delle masse, che prosegue nella lotta contro i resti delle classi padronali e soprattutto contro i contadini ricchi e la Chiesa, è necessaria perché la burocrazia non è una forza sociale autonoma, una classe, ma si appoggia in parte sul proletariato per lottare contro la borghesia, pur esercitando sulle masse il suo controllo burocratico e poliziesco
Si è visto d'altra parte che nelle medesime condizioni e sulla base di una statizzazione effettiva dei mezzi di produzione, è possibile iniziare il processo di una economia pianificata senza incorporamento formale nell'URSS, senza soppressione formale delle frontiere e malgrado le forme particolari di sfruttamento burocratico che costituiscono sempre un ostacolo alla pianificazione e al libero sviluppo dell'economia.