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Dai processi di Mosca alla caduta di Krusciov



Analisi sullo stalinismo di Leone Trotskji e del movimento trotskista internazionale
(ed. bandiera rossa 1965)
Il conflitto cino-sovietico e la situazione nell'URSS e negli altri Stati Operai

Il conflitto cino-sovietico e la situazione nell'URSS e negli altri Stati operai è stato uno dei documenti di base del congresso di unificazione del giugno 1963 (1). Contiene un'ulteriore presa di posizione sulla lotta, ormai aperta e accanita, tra Mosca e Pechino e un'analisi sintetica dell'epoca kruscioviana e delle sue tendenze e delle sue contraddizioni.
Sugli sviluppi successivi al congresso del '63 si possono consultare un documento del Segretariato Unificato del luglio dello stesso anno e articoli comparsi su Quatrième Internationale (2).



(1) In precedenza era stato votato dal VII congresso con l'opposizione di una ristretta minoranza rappresentata da Michel Pablo. Cfr. il volume VII Congresso mondiale e congresso di unificazione — Documenti e relazioni — Roma. Edizioni Bandiera Rossa, 1964.

(2) Cfr. Quatrième Internationale, novembre 1963, l'articolo Encore sur les positions du PC chinois et quelques problèmes de l'époque de transition di Livio Maitan e la stessa rivista, luglio 1964, Le confilit sino-soviétique: un bilan intérimaire di E. Germain.


L'avanzata della rivoluzione mondiale, la liberazione di forze rivoluzionarie potenti nei paesi economici sottosviluppati e negli Stati operai, così come le loro ripercussioni sul movimento operaio nel suo complesso, hanno notevolmente accentuato un processo cominciato fin da prima della morte di Stalin e hanno portato un colpo mortale allo stalinismo, cioè all'egemonia completa della burocrazia di Mosca sul movimento comunista di massa; sulla società sovietica e negli Stati operai. Al posto di una tale egemonia, di una subordinazione indiscussa, il complesso dei partiti e degli stati operai riconosceva da parecchi anni nel PCUS il «partito-guida», nell'URSS lo «Stato-guida», e vi si allineava. Nella società sovietica, in tutti gli Stati operai, la burocrazia, non potendo più esercitare un dominio incontrollato e un regime poliziesco onnipotente, faceva delle concessioni alle masse. Nell'ultimo periodo, i processi di decomposizione del sistema burocratico hanno assunto un'ampiezza più grande che mai. sul piano dei partiti comunisti, l'antico monolitismo non esiste più, la direzione sovietica è ormai incapace di dar loro un indirizzo unitario d'insieme, benché la sua autorità sia ancora dominante, le divergenze che per qualche anno erano state mantenute all'interno sono apparse pubblicamente, delle polemiche violente si conducono alla luce del sole e si è persino ventilata la possibilità di una scissione. I rapporti tra Stati operai e partiti di questi paesi non sono più rapporti di dipendenza verso il Kremlino, in certi casi esistonono delle pubbliche divergenze. Le due principali lotte rivoluzionarie anti-imperialiste e anticapitaliste degli ultimi anni (Cuba e Algeria) sono state condotte da direzioni e da formazioni indipendenti dai partiti comunisti di questi paesi e dalla burocrazia degli Stati operai — ciò che costituisce un colpo di eccezionale portata al prestigio e alla autorità delle direzioni staliniane o post-staliniane. All'interno degli Stati operai, e più in particolare in URSS, la «destalinizzazione», cioè la liberalizzazione a cui la burocrazia dirigente ha fatto ricorso per difendere il suo dominio sulla società sovietica, non ha risolto le
contraddizioni di quest'ultima: contraddizioni che si manifestano in forme molteplici, che fanno intravedere una vigorosa tendenza ad una vera democratizzazione della vita degli Stati operai.
L'aspetto più spettacolare dell'attuale fase di crisi nel sistema degli Stati operai e dei partiti comunisti è rappresentato dal conflitto cino-sovietico, che soprattutto in seguito alla crisi dei Caraibi e agli incidenti di frontiera cino-indiani dell'autunno 1962, ha assunto l'aspetto di un conflitto teorico e politico aperto su alcune questioni essenziali della politica internazionale del movimento operaio (guerra e pace, rivoluzione ininterrotta, vie rivoluzionarie o parlamentari al socialismo, ecc.). Tale conflitto tende a polarizzare le correnti di sinistra del movimento comunista sui problemi della rivoluzione mondiale. D'altra parte, resistenza della direzione Fidel Castro polarizza delle correnti non organizzate soprattutto tra la gioventù dei paesi economicamente sottosviluppati, e comincia a polarizzare delle tendenze organizzate in America Latina. L'esperienza jugoslava, per quanto sia limitato il livello d'applicazione della gestione operaia a causa dell'assenza di democrazia operaia politica, esercita un'attrazione tra gli strati più avanzati in URSS e negli Stati operai dell'Europa orientale.
Mano a mano che si sviluppa questa crisi, la quale d'altronde va di pari passo con i conflitti economici, sociali e politici che continuano a caratterizzare la vita interna dell'URSS e degli Stati operai, la validità del programma trotskista viene ad essere sottolineata dal fatto che. in tutte le manifestazioni progressive di questa crisi appaiono delle parti del programma trotskista, che si tratti della rivoluzione mondiale nei paesi coloniali e nelle metropoli imperialiste, ovvero della lotta contro la burocrazia e per la democrazia operaia negli., Stati operai.
Tuttavia, benché ormai la crisi del sistema burocratico abbia raggiunto un'ampiezza considerevole, tutte le tendenze che si sono manifestate fino a questo momento nell'antico quadro dello stalinismo restano subordinate a delle burocrazie di Stati operai, di cui nessuna si è staccata dagli interessi e dalle prospettive burocratiche per elevarsi a livello degli interessi e delle prospettive della rivoluzione socialista mondiale. Questo limite trova la sua espressione, tra l'altro, nel fatto che queste tendenze si accusano reciprocamente di «trotskismo», che tutte denunciano il «trotskismo» e che esse non portano la discussione alla base delle organizzazioni se non per legittima difesa.
La direzione Fidel Castro, da parte sua, concentra la sua attività in direzione dell'America Latina e non partecipa che parzialmente e in forma ristretta ai dibattiti del movimento comunista internazionale.
Ma le forze che determinano la crisi possono tutt'al più permettere che le polemiche siano interrotte da tregue per brevi periodi. Nessuna manovra burocratica può arrestare la crisi del sistema burocratico, in tutti i partiti comunisti e negli Stati operai. Le possibilità d'intervento della IV Internazionale in questo processo allo scopo di assicurare un rifiorire del marxismo rivoluzionario sul piano politico e sul piano organizzativo crescono di continuo.

LA FINE DEL MONOLIT1SMO DEL MOVIMENTO COMUNISTA

Il conflitto cino-sovietico

Aperto nel 1957 ed approfondito soprattutto dopo l'incontro di Camp David, (1959), ripreso dopo l'effimero compromesso realizzato alla conferenza di Mosca del 1960, aggravatesi in seguito all'affare dei Caraibi e agli incidenti di frontiera cino-indiani dell'autunno 1962, il conflitto cino-sovietico è una prova di più che l'estendersi vittorioso della rivoluzione socialista è incompatibile sia con lo stalinismo sotto la forma che esso aveva ai tempi di Stalin, sia con gli interessi della burocrazia sovietica sotto la direzione di Kruscev, anche quando tale movimento rivoluzionario è controllato da una direzione burocratica.
Sia nel periodo ante-guerra, allorché i rapporti di forza nel mondo erano sfavorevoli alla rivoluzione socialista, sia dopo la vittoria della Rivoluzione Cinese, che ha spostato il rapporto di forza globale in favore della rivoluzione socialista mondiale, la politica internazionale della burocrazia sovietica è stata caratterizzata dalla ricerca costante del mantenimento di uno «status-quo» che si è sempre mostrato inesistente. Nel dopoguerra lo status-quo deve essere inteso sotto la forma di un equilibrio globale con l'imperialismo, non turbato da grandi movimenti rivoluzionari, e nel quale non siano messe in causa delle posizioni essenziali dell'imperialismo.
Mano a mano che il rapporto di forze migliorava in seguito ai successi economici degli Stati operai e al crescere della potenza degli armamenti dell'URSS, la burocrazia sovietica, sotto la direzione di Kruscev, pur slanciandosi talvolta fino a prendere atteggiamenti avventuristi, ha per lo più accentuato assai pesantemente la sua tendenza di destra sul piano delle relazioni internazionali. La burocrazia sovietica ha sfruttato per i propri scopi dei sentimenti che esistevano normalmente nelle masse sovietiche, e cioè il timore di una nuova guerra e le aspirazioni a trarre finalmente dei benefici concreti dai sacrifici fatti per lunghi anni per difendere il regime sovietico e creare un'economia moderna. La burocrazia sovietica ha reso organiche tutta una serie di tendenze e di posizioni di destra che erano state formulate già ai tempi di Stalin, specie nel periodo in cui questi cercava una via d'intesa con le democrazie imperialiste.
Su questo punto, le differenze importanti fra Kruscev e Stalin non riguardano le loro prospettive e le loro intenzioni, ma le condizioni differenti nelle quali essi agiscono, e le conseguenze che ne derivano. Stalin aveva potuto molto più apertamente e cinicamente consegnare delle rivoluzioni ai boia (tra le altre, la seconda rivoluzione cinese nel 1925-27, la rivoluzione spagnola, la lotta dei partigiani greci). Kruscev è stato obbligato ad assicurare una certa difesa dei movimenti rivoluzionari, ma l'ha fatto in modo insufficiente, timido, allo scopo di ottenere un accordo sia con l'imperialismo che con la borghesia dei paesi sottosviluppati.
In questo stesso periodo, i dirigenti cinesi avendo trionfato dopo più di venti anni di lotta, partivano con un basso livello di forze produttive e si trovavano a lottare incessantemente contro gli assalti dell'imperialismo, di quello americano in primo luogo, il quale vedeva nella Repubblica Popolare Cinese un nuovo polo rivoluzionario, e una minaccia per le sue ambizioni nel Pacifico.
Pur senza formulare obiezioni di principio alla ricerca di accordi con gli Stati capitalisti, i dirigenti cinesi dovevano tuttavia sperimentare che si trattava per loro di una prospettiva assai poco realistica, o, più ancora, che esisteva il pericolo che si concludessero degli accordi tra Mosca e Washington a spese di certi interessi della
Repubblica Popolare Cinese. Dalle condizioni in cui essi si trovavano, i dirigenti cinesi furono spinti ad orientare la loro politica molto meno verso la ricerca di accordi con l'imperialismo che verso l'obiettivo di indebolire l'imperialismo con tutti i mezzi. Bisogna aggiungere che la direzione del PC cinese sente da vicino la pressione di una rivoluzione che ha trionfato quattordici anni fa, mentre i dirigenti del PC sovietico rappresentano una burocrazia che ha consolidato il suo potere ormai da quasi quarant'anni.
La causa fondamentale del conflitto cino-sovietico consiste precisamente nelle differenti necessità delle due direzioni: l'una esprime i bisogni di una burocrazia sazia alla testa di un paese economicamente sviluppato, l'altra si trova alla testa di una società ancora molto povera e non può contare su un aiuto importante dell'URSS. La ricerca di accordi e soprattutto di un accordo globale con l'imperialismo da parte della burocrazia sovietica si contrappone alla ricerca di un indebolimento dell'imperialismo con tutti i mezzi, da parte dei dirigenti cinesi. Da questi punti di vista divergenti sono derivati gli atteggiamenti discordanti che si sono manifestati tra cinesi e sovietici su delle questioni essenziali della politica internazionale nel momento attuale, e che hanno portato i cinesi a denunciare in termini assai vigorosi l'orientamento di Kruscev e quello dei suoi partigiani
in tutto il mondo (Togliatti, Thorez, il PC degli USA, il PC indiano ecc.).
Tali divergenze possono essere riassunte come segue:

1) Mentre i sovietici insistono sulla possibilità di assicurare la pace anche se il capitalismo sussiste, e mettono l'accento sulla necessità di cercare la collaborazione con le tendenze borghesi, anche nel seno stesso dell'imperialismo americano, i cinesi non si stancano di sottolineare che la natura dell'imperialismo non è cambiata, che non bisogna farsi illusioni su questa o quella tendenza della borghesia, su questo o quel dirigente imperialista, nella lotta per salvaguardare la pace. Essi ricordano, più correttamente, che il solo mezzo definitivo per evitare una nuova guerra mondiale è il rovesciamento del capitalismo su scala mondiale, e che il solo metodo per operare in questo senso è sviluppare la lotta rivoluzionaria delle masse. Mentre per i Sovietici la forza motrice del socialismo è costituita essenzialmente dallo sviluppo dell'URSS e degli altri Stati operai e il passaggio al socialismo su scala mondiale sarà assicurato essenzialmente dalla vittoria sovietica nella competizione economica, le masse rivoluzionarie nel mondo non avendo che un ruolo di appoggio
e dovendo evitare persino di «provocare» conflitti più aspri con il capitalismo su dei punti particolarmente sensibili, per i Cinesi sono le forze rivoluzionarie mondiali che dovranno svolgere il ruolo fondamentale. Su questo punto essenziale la posizione cinese si avvicina dunque all'orientamento di base dei marxisti rivoluzionari.
Infine, i Cinesi rimproverano alla direzione sovietica di non sfruttare a fondo la situazione obbiettiva nel complesso favorevole che esiste oggi nel mondo e di sopravvalutare, per fini opportunistici, la forza dell'imperialismo americano.
Le accuse di Kruscev, e ancor più di Tito, secondo cui i Cinesi sarebbero favorevoli allo scatenamento di una guerra mondiale costituiscono una deformazione polemica evidente. I Cinesi, malgrado alcune debolezze gravi sulle quali ritorneremo, non hanno mai espresso un tale orientamento, e non si sono nemmeno pronunciati a priori contro ogni compromesso transitorio con l'imperialismo. Infatti, nel momento della crisi internazionale dell'ottobre 1962, essi hanno criticato Kruscev non solamente per il suo opportunismo e perché egli aveva calpestato i diritti elementari della rivoluzione cubana, ma anche per il suo avventurismo, che l'aveva spinto ad installare i missili sul territorio cubano.

2) II governo sovietico, favorevole ad una competizione essenzialmente «pacifica» con il capitalismo, si sforza di raggiungere degli accordi con le borghesie nazionali dei paesi sottosviluppati, subordinandovi la politica dei partiti comunisti di questi paesi, e, nella misura in cui gli è possibile, i movimenti di massa. I dirigenti cinesi, pur conservando alcuni atteggiamenti equivoci, specialmente nel caso dell'Indonesia, esprimono posizioni assai più critiche verso le borghesie nazionali, e insistono sul ruolo dirigente del proletariato e sul carattere ininterrotto della rivoluzione (ciò che li pone contro le concezioni mensceviche di Stalin sulla rivoluzione per tappe, e li avvicina alla concezione trotskista della rivoluzione permanente). Per conseguenza i Cinesi hanno la tendenza ad appoggiare i movimenti più rivoluzionari nei paesi sottosviluppati, senza essere ostacolati dalle stesse esitazioni che caratterizzano l'atteggiamento sovietico (vedi il caso della rivoluzione algerina).
L'atteggiamento di Krusciov in occasione del conflitto di frontiera tra la Cina e l'India, il suo appoggio di fatto al governo di Nehru contro lo Stato operaio cinese fu l'espressione estrema di questa differenza di atteggiamento su una questione così capitale.

3) Le critiche dei Cinesi alle concezioni neo-riformiste di Kruscev e dei suoi partigiani nel mondo sul passaggio pacifico, democratico, ossia parlamentare al socialismo, furono progressivamente accentuate e precisate. La polemica contro Togliatti, più in particolare, che è uscita dalla genericità per esaminare assai da vicino le formule del segretario del Partito Comunista italiano, capofila del kruscevismo tra i partiti comunisti dei paesi capitalisti, implica in realtà una difesa della concezione marxista-leninista dello Stato, che Togliatti e i suoi rigettano, nonostante l'accettazione puramente verbale.
Questa critica cinese ha d'altronde una portata assai più ampia giacché le tesi krusceviane sulle vie pacifiche sono predicate anche dai partiti comunisti di una serie di paesi coloniali e semicoloniali, dove una crisi rivoluzionaria o esiste già o si prepara rapidamente, e dove ogni prospettiva «democratica», «pacifica» non potrebbe avere che conseguenze catastrofiche, anche a scadenza ravvicinata.
Su. tre delle questioni più importanti di questo periodo, dunque — la lotta contro la guerra, la natura della rivoluzione-coloniale e l'orientamento dei movimenti rivoluzionari nei paesi sottosviluppati, la questione delle vie al socialismo soprattutto nei paesi capitalisti avanzati — le concezioni cinesi si mostrano nel complesso più progressiste che le concezioni krusceviane, e presentano delle analogie con certe tesi del marxismo rivoluzionario. Da ciò deriva l'eco favorevole che esse hanno avuto soprattutto nei settori e nelle correnti di sinistra del movimento comunista internazionale, per le quali l'atteggiamento cinese rappresenta uno stimolo d'importanza capitale.
La nostra valutazione del significato dell'evoluzione ideologica e politica dei comunisti cinesi non ci impedisce in alcun modo di esprimere le nostre critiche su tutta una serie di questioni sulle quali le loro posizioni sono erronee e pericolose.
In primo luogo, le loro concezioni sulle conseguenze eventuali di una guerra nucleare appaiono assai sommarie, di fatto esse sottovalutano tali conseguenze (d'altra parte talvolta i cinesi sembrano sottovalutare le forze di cui l'imperialismo dispone ancora). Soprattutto, essi non considerano il problema del carattere qualitativamente nuovo che una guerra nucleare potrebbe avere rispetto alle guerre del passato, per il fatto che, stando a ciò che afferma una gran parte del mondo scientifico, la possibilità di una distruzione totale dell'umanità non potrebbe assolutamente essere scartata.
In secondo luogo, la nostra critica prende di mira il ritardo dei comunisti cinesi sui problemi della destalinizzazione, alla quale tuttavia essi sembrano aver voluto contribuire, in una prima fase. Soprattutto il loro atteggiamento verso gli staliniani albanesi e persino verso dei vecchi gruppi staliniani in URSS. le loro reticenze davanti alle condanne sovietiche di Stalin e del suo «culto» non possono avere che conseguenze negative: innanzitutto, esse impediscono lo sviluppo di una tendenza a loro favorevole in URSS e negli Stati operai dell'Europa orientale. Le tendenze di sinistra in questa parte del mondo, se sono favorevoli ad una politica internazionale rivoluzionaria, non possono che condannare tutti i vecchi staliniani e ogni nostalgia dell'epoca staliniana. Considerazioni analoghe valgono per i partiti comunisti dei paesi capitalisti, specie per quelli che hanno una larga influenza di massa (per es. il Partito Comunista italiano).
I marxisti rivoluzionari, d'altra parte, non possono che condannare la polemica dei cinesi contro i comunisti jugoslavi. Tale polemica, che ricorda spesso il vecchio stile staliniano, si basa su di una deformazione evidente della realtà jugoslava e delle concezioni espresse dalla Lega dei Comunisti jugoslavi. Le indubbie deviazioni destrorse degli jugoslavi su tutta una serie di problemi (orientamento della politica internazionale, vie al socialismo, atteggiamento verso le borghesie nazionali del «Terzo Mondo» ecc.) e le tendenze molto pericolose che derivano da certe concezioni economiche e che hanno già prodotto fenomeni di degenerazione incontestabili, devono essere denunciate, ma non giustificano assolutamente le accuse di restaurazione del capitalismo né le scomuniche contro Tito e i suoi partigiani, le quali in realtà nuocciono a coloro che le scagliano.
Bisogna infine rilevare che i Cinesi continuano a richiamarsi alla dichiarazione degli 81 del 1960, la quale, essendo in larga misura un testo di compromesso a tendenza eclettica, non può effettivamente chiarificare le questioni fondamentali in discussione, e resta infatti largamente al di qua delle posizioni di parecchi documenti cinesi degli ultimi mesi.

Altre differenziazioni tra i partiti comunisti

Se il conflitto cino-sovietico è, nella fase attuale, il conflitto più importante del movimento comunista, esso non esaurisce le differenziazioni e le contraddizioni di quest'ultimo. Non solamente infatti la corrente jugoslava, malgrado il suo riavvicinamento con Kruscev. conserva una larga autonomia e caratteristiche proprie, ma all'interno stesso dei due «campi» c'è una vasta gamma di differenziazioni e di particolarità.
Ciò vale per ciò che riguarda i Cinesi e gli Albanesi, le cui concezioni non potrebbero essere identificate, ma vale soprattutto per il gruppo krusceviano, che in realtà riunisce partiti e direzioni d'indirizzo assai diverso, spesso su problemi importantissimi. Così, la linea di Gomulka, specialmente per quanto riguarda le questioni agricole, l'atteggiamento verso gli intellettuali, la destalinizzazione ecc., è molto lontana dalla linea del PC bulgaro, per esempio. Così l'atteggiamento del PC italiano sulla questione della destalinizzazione non potrebbe essere avvicinato a quello del PC francese, che finora ha evitato ogni allentamento della pressione burocratica vecchio stile. Anche riguardo all'orientamento in politica interna, se Thorez formalmente si dichiara più fedele alle concezioni marxiste, ma in pratica le ridicolizza, ignorando tra l'altro ogni idea di programma di transizione, Togliatti si picca di essere più audacemente innovatore, si pone apertamente delle domande sulla validità di certi aspetti essenziali della teoria marxista leninista dello Stato, e insiste su un programma transitorio, concepito tuttavia in modo del tutto riformista.
Finora, la disgregazione del monolitismo staliniano è caratterizzata dal fatto che essa si produce seguendo linee nazionali, cioè che le divergenze si producono apertamente fra direzioni nazionali, mentre le direzioni e i partiti apparentemente restano uniti politicamente. Ma la profondità delle divisioni, e specialmente quella del conflitto cino-sovietico — che non potrebbe essere realmente sanato con nuovi tentativi di compromesso, peraltro sempre possibili — scuote l'autorità delle direzioni burocratiche e di conseguenza il regime esistente nei partiti. Anche se nessun partito ha ristabilito un vero regime democratico, con diritto di tendenza, e se le deformazioni internazionali delle posizioni avversarie restano un metodo favorito, le direzioni burocratiche, almeno in certi casi, cominciano ad essere obbligate ad ammettere che dei membri dei loro partiti abbiano posizioni divergenti dalla linea ufficiale, pur non permettendo loro di conservare posizioni dirigenti. Le differenziazioni abbastanza nette e la possibilità abbastanza larga di critica che esistono già nel PC italiano indicano una tendenza destinata ad affermarsi ed a generalizzarsi, malgrado zig-zag e ripiegamenti temporanei, sempre possibili e persino probabili.

La corrente castrista

Nel contesto attuale del movimento comunista, un posto tutto particolare è occupato dalla direzione fidelista, che svolgerà sempre più un ruolo veramente internazionale, innanzitutto, è naturale, in America latina. Essa si distingue dalle altre direzioni di Stati operai non solo per le sue origini, ma anche per le sue posizioni sui problemi internazionali e su quelli interni.
Se alcuni dei suoi membri erano arrivati individualmente, a delle posizioni marxiste prima di partecipare al movimento del 26 luglio, la direzione cubana come tale non aveva una formazione teorica precisa, e, fin dopo la presa del potere, essa esprimeva delle concezioni ideologiche confuse ed equivoche. Ma, grazie ai suoi legami profondi con le masse e soprattutto con gli strati più diseredati della società cubana, essa fu sempre più in grado di comprendere la vera logica del processo rivoluzionario, e, malgrado i suoi limiti ideologici, essa opera in pratica su una linea di rivoluzione permanente, assicurando la creazione del primo Stato operaio del continente americano. Così Cuba è stato il primo esempio nella nostra epoca di una rivoluzione in cui la direzione stessa è giunta nel corso della lotta e per l'esperienza stessa di quest'ultima, alle concezioni del marxismo-leninismo.
L'esperienza ulteriore ha confermto che si trattava di un'adesione profonda. Infatti:
a) La direzione cubana è stata, dopo quella di Lenin e di Trotskij, la prima direzione di uno Stato operaio che si sia rivolta alle masse sfruttate — su scala continentale — per invitarle alla lotta rivoluzionaria per la conquista del potere (Vedi Seconda Dichiarazione dell'Avana).
b) Con i loro discorsi e le loro dichiarazioni, Fidel Castro e i suoi compagni hanno confermato di considerare i problemi della rivoluzione latino-americana sotto un angolo di visuale essenzialmente rivoluzionario, rifiutando le concezioni krusceviane della maggioranza dei PC latino-americani. Il discorso di Fidel Castro al congresso delle donne americane (gennaio 1963) ha segnato su questo piano un altro passo in avanti decisivo.
c) Sul piano nazionale, la direzione fìdelista, avendo la chiara percezione dei pericoli burocratici che minacciavano e che possono minacciare la rivoluzione, è intervenuta in modo cosciente, come tentò di fare in URSS e nel partito bolscevico l'opposizione di sinistra, per chiamare apertamente le masse alla lotta contro la burocratizzazione e per assicurare una serie di misure organizzative concrete (dopo il siluramento di Escalante).
Cosicché la direzione fìdelista appare, nella fase attuale, la direzione politica di gran lunga più avanzata di tutti gli Stati operai.
Anche se essa si impegna con molta discrezione nel dibattito internazionale attuale — perché la sua linea rivoluzionaria è senza dubbio più vicina alle posizioni cinesi, mentre Cuba ha bisogno dell'aiuto economico e militare sovietico — essa sarà senza dubbio in condizioni di esercitare un'influenza internazionale via via crescente, prima di tutto in America Latina, ma poi anche in altri paesi coloniali e semi-coloniali e persino tra la gioventù dei paesi capitalisti e degli Stati operai.

EVOLUZIONE NEGLI STATI OPERAI

Unione Sovietica

Nella società sovietica, tensioni e conflitti tendono a manifestarsi in forme nuove sullo sfondo degli interessi e delle tendenze di base che il movimento trotskista va esponendo da lungo tempo.
La destalinizzazione aveva delle radici economiche sociali e politiche assai profonde; essa corrispondeva in sostanza alla necessità di difendere e mantenere il regime burocratico in condizioni in cui i metodi e le concezioni di Stalin rischiavano di provocare delle crisi. Essa consisteva in un tentativo di soluzione, sia pure parziale, dei problemi che si ponevano e si pongono obbiettivamente alla società sovietica in rapporto alle sue necessità intrinseche, alle necessità internazionali della sua competizione con l'imperialismo, e alle sue relazioni con altri Stati operai.
Sul piano economico, i dirigenti sovietici si trovavano di fronte ai problemi derivanti dalla gestione burocratica per lo sviluppo stesso delle forze produttive.
Grazie alla dinamica propria dei rapporti di proprietà collettiva instaurati dalla Rivoluzione d'Ottobre e anche, specie nel dopoguerra, all'esplosione tecnologica di cui l'URSS al pari degli altri ha beneficiato, il tasso di incremento della produzione è stato relativamente elevato. Ma ciò non significa che tutte le possibità siano realmente sfruttate. Al contrario, ci sono vasti potenziali produttivi inutilizzati per il fatto che l'iniziativa democratica delle masse non è stata valorizzata che in misura assolutamente limitata, e che la gestione burocratica provoca dei fenomeni di sottoutilizzazione delle attrezzature, degli squilibri nella produzione, degli sprechi assai rilevanti, ecc.
Verso la fine dell'epoca di Stalin, questi fenomeni erano arrivati al parossismo. Il senso del kruscevismo era in sostanza di trovare una via di uscita a questa situazione senza attentare al dominio stesso della burocrazia.
Una delle soluzioni considerate fu il decentramento in favore del quale si pronunciava tutta una corrente del movimento comunista ispirata all'esperienza jugoslava. In questa direzione fu effettuata la riorganizzazione della struttura industriale del 1957. Ma se questa riforma ha potuto dare alcuni risultati eliminando in parte inconvenienti fra i più mostruosi, non ha potuto evitare il riprodursi del burocratismo nelle nuove strutture economiche (regionali, ecc.), né la comparsa di feudalità locali altrettanto nefaste delle antiche. E' per questo che, in seguito ai risultati della riforma, hanno avuto luogo nuovi cambiamenti in varie direzioni, cagionando una nuova ristrutturazione di zone e di organismi di direzione economica. Nell'ultimo periodo si sono soprattutto manifestate delle tendenze verso una nuova centralizzazione.
Di qui nascono alcune discussioni e polemiche fra economisti e dirigenti sovietici. Una tendenza, contraria al decentramento, cerca di ritornare a formule di gestione più centralizzate, mentre un'altra tendenza, attribuendo gli inconvenienti nuovi manifestatisi a un insufficiente decentramento, vorrebbe estendere il decentramento. Donde anche certe discussioni sulle accresciute funzioni che spetterebbero al mercato e certe tendenze verso una maggiore autonomia di iniziativa (anche qui sulla falsariga dell'esperienza jugoslava).
Nascono di qui, infine, le polemiche sulle leggi economiche oggettive, sulla necessità di stabilire nuovi indici e criteri di calcolo economico che forniscano delle indicazioni più precise e comparabili sulla produzione, le norme, ecc.
Oltre le riforme della struttura organizzativa dell'industria, la burocrazia krusceviana ha proceduto recentemente a un cambiamento nella struttura stessa del partito e all'introduzione di alcuni organi di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Lo scopo reale della riforma del partito annunciata da Kruscev nel novembre 1962, è di utilizzare sempre più il partito come uno strumento inserito nell'apparato di controllo burocratico dell'economia. Ciò potrà dare soltanto dei risultati assai limitati (limitazione degli sprechi, dei delitti economici, ecc.), ma non potrà assolutamente risolvere il problema di uno stimolo essenziale della produttività
del lavoro, dell'equilibrio fra le diverse branche dell'economia, ecc., e potrà persino comportare dei pericoli politici. Il progetto di creazione di comitali consultivi, che segue altre esperienze similari (assemblee di produzione...), è estremamente significativo del fatto che la burocrazia stessa avverte dove sta la chiave della soluzione autentica, ma dimostra al tempo stesso che su questo piano la burocrazia non può spingersi troppo lontano e che non può farlo se non con estrema prudenza. Anche se saranno effettivamente messi a punto, questi comitati non avranno poteri reali, ma soltanto un voto consultivo; essi non potranno dunque costituire quella
spinta essenziale di cui l'economia sovietica ha bisogno.
E' dunque chiaro che la burocrazia si trova nella impossibilità di risolvere le contraddizioni dell'economia sovietica in questa fase di transizione, poiché, da un lato, non può comprendere a fondo le leggi economiche e adattarvisi, e non può dall'altro mobilitare la forza essenziale di una economia socialista, vale a dire il potere creatore delle masse. Essa può soltanto continuare a trovare dei palliativi, saggiando delle soluzioni «tecnocratiche», introducendo tutt'al più nuove forme di controllo burocratico, e non lasciando alla classe operaia che un ruolo del tutto subordinato.
Le difficoltà attuali dell'economia sovietica si manifestano in forma particolarmente acuta ed evidente nel settore agricolo che, malgrado le numerose riforme, resta ritardatario e non raggiunge che un tasso di incremento molto limitato, se non inesistente, se lo si calcola per abitante. La misura del carattere ancora arretrato dell'agricoltura sovietica è data in primo luogo dal fatto che la popolazione attiva in questo settore raggiunge tuttora circa il 50% della popolazione attiva globale, percentuale senza confronto possibile con i paesi capitalisti più avanzati. D'altra parte, l'integrazione del settore agricolo nell'economia pianificata si scontra con ostacoli maggiori per il fatto che nelle campagne predominano ancora
rapporti di produzione non collettivistici.
Se l'aumento dell'autonomia dei kolkhoz, l'instaurazione di termini di scambio più favorevoli per I kolkhoziani, per i contadini, ecc., hanno consentito di evitare la catastrofe alla quale avrebbe condotto il mantenimento della linea classica di Stalin, non hanno tuttavia permesso di raggiungere il tasso di incremento della produzione previsto a più riprese dal piano e neppure di far fronte ai crescenti bisogni di consumo. Non hanno altresì permesso di sopprimere o di limitare progressivamente l'interesse dei kolkhoziani per i loro appezzamenti privati. Ne risulta che i kolkhoz non possono contare su una piena utilizzazione della forza-lavoro da essi organizzata. Infine, l'esperienza delle terre vergini si è rivelata precaria e aleatoria, soprattutto perché i risultati sono soggetti a grandi fluttuazioni, e problemi di ordine sociale si .sono posti nei sovkhoz delle stesse terre vergini.
L'esperimento krusceviano non ha potuto trovare una soluzione autentica nel settore agricolo perché non ha toccato il problema nelle sue radici più profonde. Le difficoltà nel settore agricolo non potranno essere superate che con un aumento massiccio degli investimenti nelle campagne e ciò a sua volta sarà possibile soltanto con un cambiamento economico, e prima di tutto con una riduzione degli investimenti nel settore dell'industria pesante. D'altronde, un orientamento in vista di uno sviluppo economico più armonioso implica anche qui una partecipazione democratica delle masse, vale a dire una gestione democratica dei kolkhoz e dei sovkhoz. Solo quando i kolkhoziani vedranno prospettive concrete di uno sviluppo considerevole dei kolkhoz, quindi anche dei redditi kolkhoziani, quando avranno la sensazione che i kolkhoz sono delle comunità democratiche dirette effettivamente da loro, il loro interesse per i lotti privati diminuirà progressivamente e sarà possibile, a lunga scadenza, prospettare senza tensioni e resistenze il passaggio dalla forma kolkhoziana a forme compiute di gestione collettiva.
Le difficoltà di sviluppo economico e soprattutto il ritardo persistente del settore agricolo impacciano seriamente la realizzazione di progressi sostanziali sul piano di un largo consumo. Le misure di aumento dei prezzi dei prodotti alimentari (carne, latte ecc.), prese nel 1962, ne sono l'indicazione più evidente.
E' stato sottolineato che Krusciov si sforza soprattutto di far progredire la società sovietica in direzione di un «welfare state», e che per lui la società comunista si riduce alle dimensioni di una società del «benessere». I suoi insuccessi in questo campo sono quindi tanto più seri. Se è vero che il livello di vita sovietico non cessa di aumentare, è ugualmente vero che nel 1962 il tasso di incremento del livello di vita è stato più debole e che in termini assoluti esso resta insufficiente in rapporto ai bisogni crescenti delle masse sovietiche, che aspirano a trovare sul piano del consumo e del «confort» la traduzione dei grandi progressi economici e tecnici dell'Unione Sovietica, continuamente esaltati dalla stessa burocrazia.
Sul piano culturale, la burocrazia sovietica aveva sentito il bisogno di un cambiamento nei confronti della politica staliniana, in primo luogo perché il dogmatismo e i metodi amministrativi costituivano un impaccio che isteriliva l'elaborazione scientifica e per conseguenza lo sviluppo delle forze produttive, e in secondo luogo perché un tale atteggiamento comportava il rischio di una rottura aperta fra l'intellighentzia e il regime. Di qui il moto di liberalizzazione che si è sviluppato nelle forme ben note e che in certi momenti ha raggiunto un livello abbastanza elevato. In questa condizione è stata avanzata l'idea della competizione fra scuole scientifiche differenti, e si sono manifestate correnti artistiche al di fuori del «realismo socialista» ufficiale. Le recenti polemiche sulla letteratura, la pittura, ecc., sono estremamente significative. Esse dimostrano per un verso i potenti fermenti di giovani intellettuali che vogliono far progredire la cultura sovietica su un livello ben superiore a quello del periodo precedente. Esse hanno, peraltro, messo singolarmente a nudo i limiti di fondo del krusciovismo che si sono espressi in certo tipo di neo-zdanovismo nel campo culturale, affermatesi specialmente agli inizi del 1963. E' chiaro che la posta del conflitto fra Krusciov e i giovani intellettuali va ben al di là del valore intrinseco della pittura astratta e della musica dodecafonica. Krusciov sa benissimo che, in una società in cui non esistono forme di espressione democratiche o sono estremamente limitate, i conflitti politici più generali possono trovare una espressione sia pure parziale e alterata nei conflitti artistici. I pubblici numerosi di cui godono poeti come Evtuscenko e Voznessenski, non testimoniano soltanto di un interesse intellettuale indubbio della gioventù sovietica ma anche del significato politico attribuito a queste manifestazioni. D'altra parte è chiaro che se la burocrazia ammettesse l'idea di una pluralità di tendenze scientifiche e culturali, e di un libero dibattito fra queste,ciò faciliterebbe obiettivamente le differenziazioni sul piano politico, il che permetterebbe una certa cristallizzazione anche su problemi politici, e sarebbe il preludio all'affermazione del diritto alla pluralità dei partiti sovietici.
Il significato politico del recente dibattito culturale è stato tanto più marcato perché è stata posta una volta ancora, nel corso di questo dibattito, la questione di Stalin e dei crimini dello stalinismo, ivi compresi i campi di concentramento. In realtà, nella discussione delle questioni culturali e delle responsabilità di alcuni intellettuali sovietici durante il periodo staliniano, si trova posta la questione più generale delle responsabilità, nel medesimo periodo, di numerosi dirigenti sovietici attuali. Ne veniva un pericolo estremo per la stessa direzione kruscioviana che sentiva l'esigenza di colmare la breccia il più presto possibile.
La contraddizione del krusciovismo è apparsa una volta di più in piena luce. Per guadagnare l'appoggio delle masse, Krusciov si è sforzato e si sforza tuttora di presentarsi come il liquidatore del «culto della personalità», come il denunciatore dei peggiori crimini di Stalin. In effetti, ogni volta che si è trovato in difficoltà su diversi piani, e di fronte agli attacchi dei suoi avversari, Krusciov è ricorso a una nuova denuncia del «culto della personalità», volendo dare l'impressione che i tempi brutti sono finiti e che è lui che costituisce la garanzia che non ritorneranno. Ma, d'altra parte, ogni apertura di Krusciov verso la destalinizzazione incitava certi strati a porre dei nuovi problemi, a esprimere nuove necessità, a esigere una destalinizzazione più conseguente. La qual cosa costituiva in ultima analisi un pericolo per la tendenza kruscioviana stessa, la quale doveva abbozzare una ritirata oppure non mantenere le promesse che aveva fatto.
Così la natura stessa del krusciovismo spiega questo alternarsi di spinte alla destalinizzazione e di periodi di indietreggiamento, che seguiterà verosimilmente ancora nel prossimo futuro.
Nel corso degli ultimi anni nuovi problemi relativi allo sviluppo economico integrato degli Stati operai si sono posti alla burocrazia. In seguito allo sviluppo delle forze produttive tanto nell'Unione Sovietica quanto negli altri Stati operai, e parallelamente ai tentativi di integrazione economica del capitalismo nell'Europa occidentale, la necessità di un coordinamento economico degli Stati operai si è notevolmente accentuata. Soprattutto nella seconda metà del 1962 sono state progettate delle misure importanti, ivi compresa la creazione di una «banca dei paesi socialisti», che a lunga scadenza influiranno sulla struttura economica degli Stati operai facenti parte del Comecon.
Un organismo di pianificazione comune a tutti questi paesi è ugualmente in esame. In tal modo la stessa burocrazia deve interpretare ed esprimere, sia pure in maniera deformata, le necessità obbiettive dello sviluppo economico degli Stati operai. Anche facendo astrazione da certe resistenze congiunturali di questo o di quel paese, la realizzazione di questa integrazione economica è ostacolata dall'esistenza della burocrazia per ragioni analoghe a quelle che giocano nelle differenti situazioni nazionali, gli egoismi nazionali burocratici sommandosi agli interessi burocratici. Senza pianificazione democratica su scala nazionale, senza sviluppo armonico nei diversi paesi, è impossibile realizzare una pianificazione democratica e uno sviluppo armonico sul piano internazionale. Le tensioni e i conflitti che si producono in seno alle differenti economie a gestione burocratica non saranno diminuiti bensì moltiplicati in un contesto internazionale. Bisogna d'altra parte sottolineare con forza che le necessità politiche e i metodi della burocrazia, che non esita a ricorrere a sanzioni economiche, intralciano il raggiungimento dei tassi di sviluppo economico. Così, un reale coordinamento dell'economia degli Stati operai non potrebbe essere efficace qualora escludesse alcuni di questi Stati; più concretamente, non potrebbe essere che molto parziale se la Cina si trovasse costretta a restare ai margini del sistema. Lungi dall'accettare un simile orientamento bisogna al contrario esigere che questo coordinamento economico degli Stati Operai sia aperto a una partecipazione sostanziale da parte di alcuni paesi sotto-sviluppati dove la rivoluzione avanza verso soluzioni socialiste (per esempio, l'Algeria nella fase attuale).
La direzione burocratica continua a subire tutta una gamma di pressioni sociali e politiche diverse. Abbiamo sottolineato più volte che esistono anche dei conflitti di interessi e di orientamento in seno alla stessa burocrazia. Negli ultimi anni, le pressioni più palesi sono state quelle della burocrazia economica. Si sa che la pressione di dirigenti dell'industria e del settore agricolo ha contribuito per buona parte all'adozione di certe riforme kruscioviane. Anche allo stadio attuale, nelle discussioni sulle leggi di mercato, sulla contabilità economica, sul potere dei direttori, sul ruolo del mercato, alcuni dirigenti dell'industria giocano un ruolo considerevole. Un altro riflesso di queste tendenze è nel fatto che, fra i dirigenti sovietici, il numero di quelli che hanno una formazione e una origine tecnica aumenta. Per quel che concerne gli strati contadini i loro rapporti con la burocrazia anche se sono migliorati rispetto a quelli del periodo staliniano, continuano a essere difficili e complessi. In realtà l'opposizione e i conflitti si esprimono soprattutto sul piano economico attraverso il maggiore interesse portato dai contadini ai propri appezzamenti privati, attraverso la questione delle consegne contrattuali nella quale i kolkhoziani si sforzano di ottenere i prezzi più alti possibili, e attraverso la loro preferenza per il mercato kolkhoziano.
Ma è soprattutto nei rapporti della burocrazia con la classe operaia e gli intellettuali che si sono precisati i conflitti più significativi. Non si può certamente dire che ci sia una larga azione di massa contro la burocrazia e che gli operai esprimano le proprie rivendicazioni economiche e politiche in forma cosciente e precisa. Ma, negli ultimi anni, si sono prodotte manifestazioni e conflitti regionali e locali che rivelano tendenze operanti in profondità. Basta ricordare gli scioperi di Odessa, di Novocerkarsk, ecc., nei quali gli operai hanno portato avanti delle rivendicazioni economiche, e anche posto delle questioni relative ai metodi di direzione. D'altra parte, in alcuni documenti ufficiali e nei rapporti di Krusciov stesso, si menziona l'ostilità degli operai nei confronti dei metodi di controllo nella fabbrica. Tutto ciò conferma e rafforza l'esigenza della gestione operaia.
Quanto agli intellettuali, abbiamo già indicato sopra i conflitti significativi, assai recenti, che si sono sviluppati e le cui implicazioni vanno al di là. dei problemi culturali. In realtà i giovani intellettuali e anche alcuni sopravvissuti delle anziane generazioni pongono sempre più il problema del riesame critico di Stalin. E in generale c'è un interesse abbastanza pronunciato per problemi come quello dei consigli operai. L'opposizione di una serie di intellettuali, in seguito all'ultima chiusura operata da Krusciov, dimostra che, quali possano essere certe vicissitudini temporanee, il periodo in cui la burocrazia regolava i problemi con misure amministrative e con l'ottenimento di autocritiche degradanti, è finito.
Tutti questi fermenti della società sovietica contemporanea sono destinati a intensificarsi e moltiplicarsi, sotto il duplice impulso dei problemi interni e delle contraddizioni internazionali (il conflitto cino-sovietico attuale non ha avuto finora ripercussioni notevoli, ma ne avrà certamente in futuro e nella misura in cui si protrarrà, e ci sono d'altra parte sintomi di interesse delle nuove generazioni verso l'esperienza cubana). La direzione burocratica si sforzerà di far fronte a questa situazione con metodi diversi, sia ricorrendo a costrizioni e indietreggiamenti, sia facendo nuove concessioni sul piano della destalinizzazione. La direzione di Krusciov si sforzerà in particolare di mantenere il potere tramite una politica bonapartista spinta all'estremo. Ma in generale né l'una né l'altra di queste politiche riusciranno a soffocare le tendenze al rinnovamento che hanno radici assai profonde nella società sovietica. Così ogni spinta di destalinizzazione aprirà nuove brecce, e si delineeranno tendenze aventi come fine ulteriori concessioni, mentre qualsiasi tentativo di tornare indietro si urterà con resistenze sempre più precise e stimolerà una presa di coscienza critica, sulla natura del sistema burocratico da parte dell'avanguardia della classe operaia e della intelighentzia.

Cina e democrazie popolari

Gli ultimi cinque anni di sviluppo in Cina sono stati caratterizzati da avvenimenti di grande importanza, che hanno messo in luce aspetti contraddittori di questa esperienza rivoluzionaria su scala gigantesca, e insieme i suoi limiti attuali. Questi limiti derivano dal fatto che lo stesso Stato operaio cinese ha una gestione burocratica e che l'aiuto economico internazionale è stato del tutto insufficiente (lo sarebbe stato in ogni caso, anche se il governo sovietico non avesse preso misure di pressione che hanno aggravato la situazione).
Gli anni 1958-59 furono caratterizzati dal «balzo in avanti» e dalla istituzione delle comuni. Queste due misure hanno all'inizio permesso di raggiungere dei risultati che non devono essere negati né minimizzati a causa dei fallimenti sopraggiunti negli anni seguenti. In particolare l'esperienza delle comuni ha permesso di affrontare su vastissima scala i problemi di una piena utilizzazione della mano d'opera agricola, cioè di una valorizzazione delle forze produttive utilizzate nel quadro della struttura agricola anteriore. Su questo piano la esperienza delle comuni rimane una indicazione assai valida per tutta una serie di paesi sottosviluppati nei quali si pongono problemi analoghi. Ma quando la direzione cinese ha voluto trasferire questa esperienza nelle città e inoltre utilizzarla per un «balzo in avanti» smisurato, essa ha condotto ad un fallimento inevitabile. La mobilitazione della forza del lavoro agricolo è stata perseguita con metodi burocratici, quasi in forma militare, con un prolungamento eccessivo della giornata di lavoro, con una soppressione
irrazionale dei giorni di riposo necessari, cosa possibile soltanto in momenti eccezionali e per degli scopi precisi, ma che a lunga scadenza logora la forza-lavoro e conduce a una diminuzione della produttività, se non a una resistenza passiva e a un sabotaggio dissimulato. Tutto ciò doveva avere le sue ripercussioni sul piano industriale dove sono stati commessi gravi errori (la maggior parte della produzione degli «altiforni tascabili» si dimostrò inutilizzabile e di conseguenza costò sforzi inutili e condusse allo spreco). A ciò si aggiun-gono le calamità naturali i cui effetti, secondo le informazioni ufficiali furono davvero disastrosi.
Così si spiegano il ripiegamento e le difficoltà economiche degli ultimi anni. Questi, ripetiamo, sono stati aggravati dall'atteggiamento della burocrazia sovietica che, anziché compiere il massimo sforzo per aiutare lo Stato operaio cinese in una situazione eccezionalmente difficile, ritirò i tecnici, pretese il pagamento dei debiti senza accordare proroghe, e ridusse in modo sostanziale le relazioni commerciali con la Cina.
L'atteggiamento della direzione cinese di fronte a questi scacchi economici, ha confermato che essa era una direzione empirica ma che non si comportava secondo il modello staliniano del periodo della collettivizzazione forzata. Il movimento delle comuni fu certamente messo in atto a un ritmo eccessivo, senza tener conto sufficientemente delle condizioni tecniche necessarie, d'altra parte, la presentazione delle condizioni di vita collettiva delle comuni come un preludio pressoché immediato di una società comunista, era effettivamente un errore teorico e una mistificazione propagandistica.
Ma mai i comunisti cinesi ricorsero alla violenza per costringere i contadini a entrare nelle comuni, ai metodi di Stalin al tempo della collettivizzazione forzata, e ciò è dimostrato dal fatto che non ci sono state né le stragi che insanguinarono le campagne sovietiche, Né le reazioni disperate dei contadini, come la distruzione massiccia del patrimonio zootecnico.
E' altrettanto significativo il fatto che, quando si manifestarono le conseguenze degli errori commessi, i dirigenti operarono dopo forti lotte interne una svolta che portò gradualmente a un riordinamento radicale sul piano delle comuni come su quello della linea economica generale.
Compresero la necessità di qualche anno di riordinamento, la necessità di non forzare oltre l'industria pesante, di concentrare gli sforzi sul piano dei beni di consumo industriali e dei prodotti alimentari, e arrivarono fino ad affermare la priorità dell'agricoltura.
D'altra parte, il carattere specifico della direzione cinese si è anche manifestato nei suoi rapporti con le masse. Pure trattandosi sempre di una forma di paternalismo burocratico, l'accento rimane posto sulla necessità di convincere piuttosto che di esercitare una violenza. Questa caratteristica è confermata altresì dal loro intervento nella discussione in seno al movimento comunista internazionale in cui, come abbiamo già notato, essa difende tutta una serie di idee opposte alle idee staliniane e che danno un colpo mortale al monolitismo staliniano.
Tuttavia la base obbiettiva arretrata della Cina e la formazione politica della direzione attuale hanno determinato nello Stato operaio cinese delle gravi deformazioni burocratiche. Come già abbiamo sottolineato, la gestione dello Stato operaio cinese resta burocratica; gli errori commessi nel periodo del «balzo in avanti» e dalla creazione febbrile delle comuni lo testimoniano una volta di più.
Bisogna ancora considerare l'atteggiamento burocratico della direzione cinese di fronte alla destalinizzazione. Nel 1956-57, essa sembrò favorevole a uno sviluppo deciso della destalinizzazione. Mao-tse-tung scriveva le sue tesi sulle contraddizioni nel popolo, ammettendo il diritto di sciopero; sul piano culturale, proclamava la dottrina dei «cento fiori».
Ma dopo che la liberalizzazione abbozzata determinò tutta una serie di tendenze, ivi compresi dei conflitti aperti, la direzione cinese ripiegò e non cessò da allora di trovarsi alla retroguardia su questo terreno.
La situazione economica della Cina è obbiettivamente difficile. Un passo in avanti sensibile potrà essere compiuto solo a patto che venga accordato un considerevole aiuto economico da parte degli Stati operai e che ci sia una mobilitazione democratica. E' in questa situazione che i Cinesi hanno compreso la necessità di porre il problema sul piano internazionale. Per loro, è a ogni modo assai difficile concepire una soluzione basata sulla «coesistenza pacifica» e sulla competizione economica a lunga scadenza. Sentono molto di più la necessità di portare dei colpi all'imperialismo tramite la lotta rivoluzionaria delle masse, il che in ultima analisi creerebbe un contesto internazionale per essi più favorevole. D'altra parte, non si può ignorare che essi vogliono attirare l'attenzione delle masse cinesi soprattutto su questi problemi internazionali, mettendo in rilievo la responsabilità della direzione sovietica nella restrizione degli aiuti, ponendo il problema dell'allargamento internazionale della rivoluzione, e per contro vogliono dissimulare l'altro aspetto della situazione cinese, cioè la necessità di una reale democratizzazione della vita economica e politica. Una tale democratizzazione avrebbe in realtà per conseguenza una utilizzazione totale del potenziale creativo delle masse, una diminuzione delle tensioni che incontestabilmente oggi esistono e di tutti gli ostacoli che la gestione burocratica erige per sua natura contro lo sviluppo delle forze produttive.
Allo stadio attuale, tendenze democratiche reali non esistono chee su scala locale e in casi probabilmente piuttosto limitati. Le questioni politiche fondamentali e l'orientamento di base sono tuttora decisi ai vertici, da strati burocratici ristretti.

Le democrazie popolari hanno conosciuto uno sviluppo ineguale per una serie di fattori: a) il livello di partenza, b) il ritmi di sviluppo economico c) i fattori politici specifici, d) le incidenze dei fattori internazionali.
Alcuni paesi, come la Cecoslovacchia hanno potuto utilizzare una struttura economica preesistente, almeno in una certa zona del paese; altri come l'Albania, non potevano e non possono contare che su forze produttive ristrette. In certi paesi, la destalinizzazione ha provocato dei conflitti storici, come la rivoluzione ungherese e l'Ottobre polacco, mentre in altri la destalinizzazione è stata apertamente respinta (Albania), oppure accettata passivamente e non ha conosciuto che un simulacro di applicazione (Bulgaria, Romania). Lo sviluppo interno di alcuni paesi non ha avuto implicazioni internazionali, mentre per altri (Germania Est) è stata largamente influenzato dalla situazione internazionale.
In linea generale, si possono notare le tendenze e i problemi seguenti :
— La necessità di una pianificazione e di una integrazione internazionale degli Stati operai si va precisando sempre più proprio in seguito a certe difficoltà e a certi squilibri. Questa tendenza è tuttavia ostacolata da necessità o situazioni nazionali particolari, da alcuni «egoismi nazionali burocratici».
— Lo sviluppo dell'industrializzazione ha posto tutta una serie di problemi (razionalizzazione, contabilità economica, lotta contro gli sprechi, ecc.) che in alcuni paesi (Cecoslovacchia, Jugoslavia) sono analoghi a quelli che si pongono in Unione Sovietica, mentre in altri (Germania Est, in parte Polonia) si presenta la necessità di assicurare un tasso di incremento più alto e più regolare.
— Nelle campagne, i fallimenti delle direzioni burocratiche sono manifesti. La collettivizzazione portata avanti a un ritmo rapidissimo, senza tener conto dei presupposti tecnici necessari, ha condotto a delle autentiche crisi, per esempio in Germania Est e in Cecoslovacchia. D'altra parte, la linea opposta adottata dalla direzione gomulkiana, se ha evitato le tensioni e i disastri della collettivizzazione accelerata, è stata e resta incapace di assicurare la spinta necessaria delle forze produttive nelle campagne e l'integrazione effettiva del settore agricolo nella pianificazione economica: in realtà, si sente gravemente la mancanza di un settore socialista pilota.
— Quanto al livello di vita, in parecchi paesi i miglioramenti continuano a essere assai limitati, mentre in altri, anche se ci si trova a un livello più elevato, si producono di quando in quando crisi di rifornimento dovute in pari misura all'insufficienza dello sviluppo agricolo e alla disorganizzazione risultante dalla gestione burocratica.
— Sul piano culturale, in alcuni paesi (Germania Est, Bulgaria, Cecoslovacchia) il controllo burocratico continua ad essere assai rigido, e certi timidi tentativi sono stati soffocati sul nascere. Al contrario, in altri paesi (Polonia e anche Ungheria) l'intellighentzia gode di una certa liberalizzazione che, nel caso della Polonia, è più avanzata che nella stessa URSS.
Dopo la nuova linea adottata dal'URSS nel 1956-57 nei suoi rapporti con le democrazie popolari, il fattore nazionale, così importante nel dopo-guerra fino alla insurrezione ungherese, gioca un ruolo decrescente. A mano a mano che le vestigia delle antiche classi dominanti spariscono e che le democrazie popolari acquistano una struttura analoga a quella dell'Unione Sovietica, i conflitti e i problemi propri di questa hanno tendenza a prodursi in maniera analoga nelle democrazie popolari, sebbene in forme a queste proprie.
Nel periodo più recente, le situazioni maggiormente suscettibili di uno sviluppo importante sono quelle della Polonia e dell'Ungheria. In Polonia ci sono sintomi che permettono di prevedere una nuova ondata di forze critiche di sinistra. In Ungheria, le ultime elezioni hanno rilevato la esistenza di correnti differenziate che arrivano
a usare le possibilità legali assai limitate per manifestarsi. In Cecoslovacchia sono presenti tensioni più gravi che potrebbero dar luogo a conflitti acuti, anche a una scadenza non troppo lontana. Sintomi ne sono stati forniti da episodi come l'affare Barak, le manifestazioni degli studenti e i conflitti operai.

Jugoslavia

La Jugoslavia rappresenta un caso particolare nello sviluppo degli Stati operai. Malgrado certi rallentamenti congiunturali, l'incremento della produzione è stato in linea generale assai considerevole. Anche nelle campagne, la direzione sembra seguire un orientamento molto più corretto ed efficace di quello della direzione degli altri Stati Operai dell'Europa orientale. E' evidente che l'assenza di consigli operai ha svolto un ruolo assai positivo, malgrado i limiti di questi consigli e certi fenomeni di degenerazione denunciati dagli stessi organi ufficiali.
L'elaborazione della nuova Costituzione conferma che, sul piano dei problemi relativi alla struttura di uno Stato operaio nella fase di transizione, i comunisti iugoslavi hanno dato e danno un contributo molto positivo e sono in anticipo sulle altre direzioni degli Stati operai, anche dei più favorevoli alla destalinizzazione. Non si deve dimenticare che tutta una serie di problemi posti dall'ala krusceviana, erano stati posti in precedenza dagli jugoslavi (decentramento, necessità di stimoli economici, ecc.).
Tuttavia, una serie di aspetti della politica economica jugoslava non possono essere accettati senza critiche dai marxisti rivoluzionari. Le tendenze al decentramento sono condotte all'estremo e soprattutto l'accettazione del libero gioco di mercato non poteva non comportare dei pericoli assai gravi che si sono in effetti concretizzati, come gli stessi dirigenti sono stati costretti a riconoscere.
Inoltre, il decentramento non ha impedito alla burocrazia di riprodursi su scala locale e ha favorito lo sviluppo di tendenze particolaristiche.
In realtà, anche nel caso della Jugoslavia, si dimostra che l'autentica soluzione risiede nella democratizzazione reale e completa della vita economica e politica. Ora, questa non è realizzata con l'instaurazione di consigli operai con poteri tutto sommato limitati, quando non ci sono organismi di democrazia proletaria in condizioni di pronunciarsi realmente sulle questioni fondamentali di orientamento politico.

COMPITI DEI MARXISTI RIVOLUZI0NARI

I marxisti rivoluzionari hanno innanzi tutto il dovere di sviluppare senza sosta la loro critica rivoluzionaria della burocrazia e del suo regime, quali che siano le forme in cui questo regime attualmente si manifesta. La IV Internazionale non nasconde che il suo obbiettivo strategico per l'URSS e le democrazie popolari dell'Europa orientale resta la rivoluzione politica antiburocratica al fine di realizzare il programma precisato nel Programma Transitorio (1938) e nei documenti ulteriori del nostro movimento internazionale. Inoltre, i marxisti rivoluzionari di quei paesi hanno per compito di elaborare, con l'aiuto dell'Internazionale, dei programmi transitori per i diversi paesi partendo dal livello attuale del movimento delle masse e dal contesto specifico di ciascun paese.
Più in generale, i marxisti rivoluzionari devono trovare dei punti d'appoggio nella crisi attuale del sistema burocratico per dare le loro risposte ai problemi che vengono dibattuti e che riflettono, sia pure in forme spesso mistificate, i problemi della fase di transizione. Dovranno in particolare cercare di esprimersi in un linguaggio accessibile soprattutto alle nuove generazioni le quali, se pure non hanno subito le peggiori deformazioni dell'educazione staliniana, non per questo hanno avuto la possibilità di conoscere le migliori tradizioni del pensiero critico leninista.
Nel conflitto cino-sovietico e, più in generale, nelle polemiche attuali in seno ai Partiti comunisti, la IV Internazionale condanna nella maniera più energica l'impiego di mezzi di Stato per risolvere le questioni teoriche e politiche. Condanna in modo particolare le misure economiche prese dalla direzione kruscioviana nei riguardi della Cina e dell'Albania. Afferma ancora una volta la necessità di una separazione fra la politica dello Stato operaio e quella del partito comunista. Condanna il fatto che le divergenze e i conflitti fra direzioni di partito provochino rappresaglie e rotture sul piano degli Stati.
Nel conflitto cino-sovietico, la IV Internazionale riafferma il suo appoggio critico ai comunisti cinesi nella loro lotta contro il neo-riformismo della direzione kruscioviana e di una grande parte delle altre direzioni comuniste, poiché ritiene la linea cinese circa i problemi fondamentali della lotta anti-imperialista e anticapitalistica (metodi di lotta contro la guerra, concezione della rivoluzione coloniale, rivoluzione «ininterrotta», via al socialismo nei paesi capitalisti avanzati) globalmente più corretta di quella dei kruscioviani e suscettibile di polarizzare maggiormente le correnti di sinistra nel movimento comunista.
Tuttavia la IV Internazionale non nasconde le sue critiche alla direzione cinese su altre questioni di grande importanza: valutazione circa le possibili conseguenze di una guerra nucleare, atteggiamento verso certe borghesie nazionali dei paesi sotto-sviluppati, caratterizzazione dello Stato operaio jugoslavo, atteggiamento sul problema della destalinizzazione, ecc.
La IV Internazionale sostiene la necessità di una conferenza internazionale del movimento comunista, preparata da una larga discussione democratica con la partecipazione di tutte le tendenze comuniste, ivi compresa quella che costituisce il movimento trotzkista internazionale.
In Unione Sovietica, i marxisti rivoluzionari devono lottare nella fase attuale soprattutto allo scopo di estendere e approfondire il processo di destalinizzazione, di costringere la burocrazia a fare concessioni più sostanziali alle masse e agli intellettuali. Bisogna in particolare insistere nella critica delle conseguenze nefaste della gestione burocratica nella economia e mettere in primo piano la necessità di organismi di controllo e di gestione operaia nelle fabbriche.
Il diritto degli operai a difendere le proprie rivendicazioni per mezzo dello sciopero sarà sostenuto non già in maniera astratta, ma partendo dalle esperienze e dai movimenti che hanno effettivamente luogo.
Sul piano culturale, i marxisti rivoluzionari lottano contro ogni concezione zdanovista e neo-zdanovista e si batteranno per la piena libertà di tutte le scuole scientifiche e di tutte le correnti artistiche.
Si batteranno altresì per la libertà di informazioni e specialmente per il diritto dei cittadini sovietici di conoscere direttamente e completamente le posizioni differenti che esistono o potranno esistere negli organismi del partito e dello Stato. Lo stesso vale per quel che concerne le differenti posizioni che esistono nei partiti comunisti.
Sul piano della politica economica, i marxisti rivoluzionari sosterranno la necessità di un aumento sensibile degli investimenti nel settore agricolo e nel settore dei beni di consumo, anche a spese degli investimenti nel settore dell'industria pesante. Un simile orientamento assicurerebbe uno sviluppo economico più equilibrato, più armonioso, e renderebbe al tempo stesso possibile un aumento della produttività del lavoro, le cui conseguenze si manifesterebbero in tutti i campi, ivi compreso quello dell'industria pesante.
I marxisti rivoluzionari sono anche favorevoli a una sempre maggiore integrazione economica degli Stati operai che assicurerà una più razionale divisione del lavoro. Insieme con l'integrazione economica, devono svilupparsi relazioni politiche e culturali sempre più strette, e una libertà di circolazione di persone fra Stati operai, ciò che faciliterebbe gli scambi di esperienza e una crescente omogeneizzazione.
In Cina, i marxisti rivoluzionari sottolineeranno che malgrado il suo ruolo positivo nei conflitti internazionali del movimento comunista, la direzione cinese rimane una direzione burocratica che dirige uno Stato operaio segnato da profonde deformazioni burocratiche. La lotta contro la burocrazia e il suo regime, per una democrazia proletaria, vale a dire, per dei consigli di operai e di contadini aventi reali poteri, per una struttura effettivamente sovietica, per il diritto di libera espressione delle tendenze e dei partiti che si situano nel quadro della società uscita dalla rivoluzione e rappresentano gli interessi operai e contadini, per l'indipendenza dei sindacati nei confronti dello Stato, per la libertà di tutte le scuole scientifiche e di tutte le correnti artistiche, ecc., si impone anche nella Repubblica Popolare Cinese. Queste conquiste non potranno essere raggiunte che con una lotta antiburocratica di massa tanto poderosa da determinare un cambiamento qualitativo nella forma politica di governo. Nella fase attuale, in particolare, i marxisti rivoluzionari si batteranno per:
a) una effettiva gestione democratica delle comuni;
b) l'instaurazione di organismi di controllo e in seguito, di gestione operaia nelle fabbriche;
c) il diritto di critica in seno al Partito comunista, e l'applicazione nella stessa Cina del diritto di minoranza rivendicato dalla direzione cinese sul piano internazionale;
d) la ripresa e lo sviluppo dell'orientamento del 1956-57 circa la destalinizzazione, orientamento espresso nel discorso di Mao Tse-tung sulle «contraddizioni nel popolo» e nella campagna cosiddetta dei «cento fiori».
Nelle democrazie popolari dell'Europa orientale, il programma di lotta attuale dei marxisti rivoluzionari dovrà essere elaborato sulla base di criteri analoghi a quelli validi per l'Unione Sovietica, e prendendo le mosse dalle condizioni assai differenziate già indicate.
In Jugoslavia, i marxisti rivoluzionari si batteranno contro le tendenze centrifughe della struttura economica attuale, per un ruolo e per dei poteri accresciuti dei consigli operai, per l'estensione dei loro poteri al campo politico, per una reale applicazione delle nuove norme costituzionali più progressive, per il diritto di tendenza nel partito e il diritto di libera espressione, di critica e di opposizione, per il diritto alla pluralità dei partiti di natura sovietica. Sul piano della politica internazionale, lotteranno contro l'orientamento di destra e opportunista della direzione sulle questioni della guerra, della «coesistenza pacifica», dei rapporti con le borghesie nazionali, e delle «vie al socialismo».